1861-2011 L’Unità d’Italia
Il Buonarroti rivoluzionario
Discendente di Michelangelo e amico di Napoleone. Dalle medaglie del Granduca alla cospirazione

Cospirare era la sua grande passione. Più delle donne, dello scrivere lettere, della Rivoluzione francese, perfino più dell’orgoglio con il quale si dichiarava discendente in linea diretta di Michelangelo Buonarroti (anche se Michelangelo non si era mai sposato...). Filippo Buonarroti, Philippe alla francese, stato di cui divenne cittadino, ha cospirato tutta la vita e tra storia e leggenda è difficile capire quale sia stato il suo vero ruolo nell’Italia e nell’Europa a cavallo tra Settecento e Ottocento. Oggi dimenticato, però, Filippo Buonarroti è stato un indiscusso protagonista, un tassello fondamentale del magma che portò all’Unità d’Italia. Filippo Giuseppe Maria Lodovico Buonarroti nasce a Pisa, nel 1761, discendente appunto del grande Michelangelo. Spirito irrequieto, di nobile famiglia fiorentina, è presto coinvolto dal Granduca Leopoldo che vuole nel suo governo i discendenti di Galileo, Vespucci e Buonarroti, e nel 1778 riceve l’onorificenza di cavaliere di Santo Stefano. All’università di Pisa studia letteratura e giurisprudenza ma soprattutto scopre gli illuministi e Rousseau e fonda la «sovversiva» Gazzetta Universale, che gli frutta l’attenzione della polizia granducale, la chiusura del foglio, e il ritiro dell’onorificenza. Tipo sempre originale, Filippo si laurea e sposa lo stesso giorno, l’8 giugno del 1782 (ma il matrimonio con la contessina Elisabetta Conti non durerà a lungo) e poi approda alla Massoneria, iscrivendosi a una loggia. Dopo lo scoppio della rivoluzione in Francia si trasferisce in Corsica per aderire al movimento dei rivoluzionari locali, ma anche per scappare all’occhiuta polizia granducale che lo sorveglia costantemente. Lì pubblica il Giornale patriottico di Corsica il primo in lingua italiana che sostiene apertamente la Rivoluzione.
L’orizzonte toscano oramai gli sta stretto (la moglie e le quattro figlie sono dimenticate) e Filippo scalpita. Dopo aver ricoperto nell’isola incarichi pubblici, essersi associato alla «Società degli Amici della costituzione » e alla «Società degli Amici del popolo», ed essere scampato alla morte —almeno a suo dire— sfuggendo ai coltelli degli aristocratici, sbarca a Parigi. È il 1793, Buonarroti chiede e ottiene la cittadinanza francese, riscrive il suo nome in Philippe, e si getta a corpo morto negli ideali ugualitari e nei complotti. Nella capitale entra nel «Club dei Giacobini» e si lega a Robespierre e nel 1794 è mandato Commissario ad Oneglia, città conquistata dai francesi, dove entra in contatto con molti rivoluzionario italiani e dove il suo zelo rivoluzionario lo porta a instaurare il terrore, anche se tutti gli riconoscono di essere incorruttibile, al contrario di altri «francesi». Buonarroti però trova anche il tempo per iniziare la convivenza con Teresa Poggi (che più tardi «sposerà» grazie alle leggi rivoluzionarie francesi). Dopo il colpo di stato che depone Robespierre, anche la sua fortuna cambia e nel 1795 finisce in carcere. Qui però conosce Babeuf, si iscrive alla sua società segreta «Pantheon» e quando il gruppo è sciolto dalla polizia, con Babeuf dà vita alla «Congiura degli Uguali », subito scoperta. Il processo fa epoca, Buonarroti è indicato come uno dei principali rivoluzionari europei, alfiere di una specie di comunismo egualitario, ma forse l’intervento del principe Corsini, forse i buoni rapporti che aveva mantenuto con Napoleone e Fouché, lo salvano dalla condanna a morte. Babeuf e Darthè, protagonisti con lui del complotto, finiscono sul patibolo, il pisano è rinchiuso in una fortezza a Cherbourg, dove però può portarsi dietro l’amante.
Il grande Bonaparte si ricorda di lui quando diventa Primo Console e cancella la deportazione dei babuvisti, confinandolo nell’isola di Oléron. Nel febbraio 1803 Buonarroti viene trasferito a Sospello, nelle Alpi Marittime, e da qui, nel giugno 1806, arriva a Ginevra, ormai territorio francese, dove inizia il secondo periodo della sua vita di cospiratore. In Svizzera Philippe riprende i contatti con tutti i rivoluzionari che conosce, aderisce alla loggia massonica «Gli amici sinceri», e dopo essere entrato in contatto con la setta «Adelfia», attraverso i «Filadelfi » ai quali aveva aderito, ne diventa il capo e protagonista indiscusso. Intorno al 1818 trasforma l’«Adelfia» nella «Società dei Sublimi Maestri Perfetti», un «ordine » verticale con tre gradi, al cui vertice sta il sublime maestro perfetto e in cui si «rivelava l’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima, il principio della carità universale, dell’eguaglianza e della libertà, il patto sociale». Non contento Buonarroti infiltra con i suoi uomini la «Carboneria », gli «Indipendenti», gli «Apofasimeni », istituisce altre sette secondarie che non sanno della loro derivazione buonarrotiana, costruisce quella che alcuni hanno definito «una costellazione insurrezionale in tutte le nazioni europee » con diramazioni in Svizzera, in Germania e Francia, cercando di tessere la sua rete anche in Italia. Alla fine l’Austria aumenta le pressioni sulle autorità elvetiche e Buonarroti ripara a Bruxelles, dove vive dal 1824 al 1830 e dove, sotto il nome di Camille, svolge attività di direzione della Carboneria francese. In Belgio scrive la sua opera più importante e famosa, il cui titolo è da Guinnes dei primati: «La cospirazione dell’uguaglianza di Babeuf con riflessione dell’autore su cause e caratteri della Rivoluzione Francese e la sua valutazione sui condottieri e gli eventi di quell’epoca e la sua visione del governo democratico, delle proprietà della comunità e della eguaglianza politica e sociale». L’opera è subito proibita ma ha un successo inaspettato (arriverà a vendere 30.000 copie) e i giovani si passano di nascosto il libro, mentre si narra che un Karl Marx entusiasta ne proponga una traduzione in tedesco.
A Bruxelles fonda l’ennesima società segreta, «Il Mondo», ma continua a guardare alla Francia, mentre mantiene un’inesausta corrispondenza con i rivoluzionari italiani a Parigi, Ginevra, Londra. Nel 1830 (ormai ha 70 anni) pare sia arrestato sull’onda di nuovi moti rivoluzionari, ma il suo carattere non cambia, neppure in amore, dove propone a Teresa, la vecchia amante abbandonata, di convivere con la sua nuova fiamma e si lamenta perchè lei non accetta il ménage a trois. Liberato torna a Parigi e qui nel 1831 fonda un «Direttorio per la Liberazione Italiana» che però si sfalda presto, anche se Buonarroti fa in tempo a pubblicare l’opuscolo «Riflessioni sul governo federativo applicato all’Italia», ultima sua opera prima della morte arrivata nel 1837. Di lui Bakunin disse che era «il più grande cospiratore del secolo», mentre Indro Montanelli ne ridimensiona di molto il ruolo, riconoscendogli di essere un «rivoluzionario di professione», il primo dell’Ottocento, ma anche di aver creato «una pedagogia rivoluzionaria non delle migliori, con la spregiudicatezza morale, gli atteggiamenti mafiosi, le strutture antidemocratiche, le buffonesche messinscene » che secondo il grande giornalista saranno poi «vizi della Carboneria». Per Montanelli il suo influsso fu reale solo durante la Rivoluzione francese e durante l’Italia napoleonica, ma comunque sia Philippe fu temuto e ammirato per anni, controllato dalle polizie di mezza Europa per tutta la vita; fu un personaggio con cui fare i conti. «Avete cospirato?», gli chiese il giudice al processo per la Congiura degli Uguali; «Sì», rispose; «Perché?»; «Per amore dell’uomo»; «E qual è il principio che vi ha guidato?»; «I diritti dell’uomo»; «Ma voi volete rovesciare il governo..»; «Sì! E finche vivrò cospirerò contro i tiranni»; «Ma voi non siete straniero?»; «Nessuno uomo è alieno —rispose fiero Filippo-Philippe Buonarroti— alla causa della natura umana». 5— Continua
Mauro Bonciani
16 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
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