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1861-2011 L’Unità d’Italia

Fratelli d’Italia, stranieri

Combatterono con Garibaldi e resero più famosa Firenze Specularono sul centro, e poi lo salvarono. Fermando tutto

«Sono arrivati gli inglesi, ma non si sa se sono russi o tedeschi». Per i fiorentini, da decenni, i forestieri erano tutti inglesi. Colpa della folta colonia di Albione che già a metà del Settecento abitava in riva all’Arno, spinta dal fascino della città medievale ma anche dai bassi prezzi e dalla tante dimore signorili disponibili e che in patria non si sarebbero potuti permettere. Inglesi, ma anche francesi, tedeschi, russi, svizzeri, che dettero a Firenze un’aria cosmopolita ben prima che diventasse capitale d’Italia e che contribuirono al Risorgimento e alla circolazione di idee «rivoluzionarie». Tutto nasce con il Grand Tour, inventato dallo scrittore Richard Lassels che nel suo «An italian voyage», pubblicato a Parigi e Londra nel 1670, dedica decine di pagine a Firenze, ai suoi abitanti e monumenti, ma parla anche di Pistoia, Lucca, Pisa, Livorno, Siena e dell’allora famoso tabacco di Poggibonsi. Il viaggio in Italia dei giovani rampolli della nobiltà e della borghesia includeva la tappa a Firenze e presto alcuni inglesi prolungarono il soggiorno, di settimana in settimana e di mese in mese. A metà Settecento, tra inglesi (la gran maggioranza), statunitensi e nazionalità assortite, nella capitale c’erano alcune migliaia di stranieri, mentre altri, ebrei e commercianti compresi, gravitavano attorno a Livorno ed al suo porto. Nel 1819 Jean Pierre Vieusseux, di origine svizzera, ma nato ad Oneglia, si stabilì a Firenze nel 1819 e l’anno dopo aprì il suo Gabinetto scientifico letterario, il primo in Italia.

Il Gabinetto offriva libri, periodici, giornali italiani e stranieri, compresi tutti gli scritti che erano vietati dalle censure degli altri stati italiani, assai più rigide di quella granducale. In breve tempo divenne punto di raccolta delle idee patriottiche e riformatrici, rifugio di intellettuali, ritrovo di tutti gli stranieri, e nel 1821 Viesseux fondò la rivista «Antologia ». Nonostante la chiusura dell’Antologia nel 1833, la polizia granducale lasciò sostanzialmente fare e il Gabinetto rimase fino a tutto il 1848 un centro di elaborazione politica, dove si incrociavano i federalisti, come lo stesso Vieusseux, i neo guelfi di Gioberti, i neo ghibellini del Guerrazzi, i mazziniani. Viesseux non era il solo svizzero nell a capitale granducale, anzi. Il Caffè Elvetico, vicino Orsanmichele, aprì la strada ai caffè letterari frequentati soprattutto da stranieri: Gambrinus, Gilli, Paszkowski, Doney. Era svizzero anche Jean Pierre Gorin che, con l’appoggio del Re di Prussia, riuscì ad ottenere dopo anni di tentativi il terreno su cui edificare il cimitero dei protestanti, quel cimitero chiamato appunto dai fiorentini «degli Inglesi » anche se era della Chiesa Evangelica Riformata svizzera. L’Atene d’Italia affascinava i suoi visitatori. Nei primi anni dell’Ottocento si fermò a Firenze per sei mesi Stendhal e le vertigini che lo presero alla vista di così tanti capolavori—fenomeno che si ripete ogni anno, per qualche decina di turisti — hanno dato nome alla «sindrome » omonima: «Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e i sentimenti appassionati — scrisse — Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere».

In città faceva parlare di sé, non per le sue idee liberali, ma per la sua munificenza il principe russo Anatolio Demidoff che riportò allo splendore anche la villa medicea di Pratolino, e i cui eredi contribuirono alla costruzione della chiesa ortodossa di Firenze, consacrata nel 1902. Si parlava anche delle mania dell’anglofiorentino Frederick Stibbert— che nel 1867 aveva combattuto in Trentino con Garibaldi, ottenendo la medaglia d’argento al valore militare—di collezionare armi ed armature antiche, di arricchire la sua villa-castello, del castello di Vincigliata comprato dal raffinato John Temple Leader. Il londinese John Ruskin scopriva la Toscana e scriveva «Mattinate fiorentine», lo scultore tedesco Adolf Von Hildebrand fece dell’ex monastero di San Francesco da Paola un cenacolo in cui suonarono anche Wagner, Liszt e Strauss, e la comunità inglese era ormai una città nella città, gli Anglo-beceri. Poesia, scrittura e conversazione animavano i salotti di Frances Milton Trollope, della poetessa Elisabeth Barret Browing e suo marito, del poeta Walter Savage Landor, tutti sepolti nel cimitero degli Inglesi, mentre il circolo degli anglo- americani Florence Club alternava serate mondane e culturali. Gli hotel più alla moda si chiamavano Grande Bretagna e New York e con l’arrivo della capitale d’Italia Firenze fu spazzata da un vento di «modernità» e invasa da giornalisti e diplomatici stranieri. Henry James deplorava le prime distruzione del centro storico, Mark Twain scriveva corrispondenze dalla capitale, in riva all’Arno furono visti Dostoevskij e Pyotr Ilyich Tchaikovsky (che vi compose Souvenir de Florence) o lo statunitense Van Heste Rymer vinceva la prima corsa ciclistica in Italia, nel gennaio 1870, la Firenze- Pistoia.

Approdata la capitale a Roma, distrutto il cuore del centro anche per le speculazioni dell’inglese Florence Land and Public Works Company, fu proprio un’anglo-fiorentina a salvare la città dove la Regina Vittoria aveva soggiornato ben tre volte, circondata dal calore della comunità degli Anglo-beceri che aveva anche contribuito finanziariamente alla realizzazione della facciata del Duomo. Vernon Lee, celebre scrittrice, scrisse infatti nel 1898 un accorato appello sul Times di Londra per evitare ulteriori scempi e la campagna internazionale da lei scatenata fermò martelli e calcinacci, evitando che il «deserto» in stile piazza della Repubblica avanzasse verso Santa Croce. Un’altra inglese Jessie White Mario, l’infermiera dei garibaldini, giornalista, fervente mazziniana e repubblicana, irruenta al punto da offendere pubblicamente Vittorio Emanuele proprio davanti a Doney, visse per anni a Firenze insegnando la lingua alle signorine di buona famiglia. Morì nella sua casa di via Maggio: era il 1906 e il suo funerale, con i vecchi garibaldini in camicia rossa al seguito del feretro segnò la fine di un epoca. Il nuovo secolo e il progresso erano ormai inarrestabili, facendo scolorire l’immagine da cartolina di Firenze descritta nel celebre romanzo «Camera con vista» di Forster e nell’altrettanto famoso film di James Yvory, vincitore di tre Oscar. L’onda lunga degli Anglo- beceri e del loro contributo alla vita sociale e alla cultura fiorentina ed italiana durò ancora a lungo, fino ad Sir Harold Acton, storico, collezionista d’arte, scrittore, morto nel 1994. Ultimo e consapevole rappresentante di una «tribù» in via di estinzione. 11— Continua

Mauro Bonciani
16 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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