• Ascolta
  • Sottolineando o cliccando due volte su un qualsiasi termine di questo articolo accederai alle risorse lessicali ad esso correlate
  • Riduci la dimensione del testo
  • Ingrandisci la dimensione del testo
  • Stampa questo articolo
  • Invia l'indirizzo di questa pagina via e-mail

1861-2011 L’Unità d’Italia

Gli altri Mille

Un mese dopo Quarto 1.200 toscani partirono per la Sicilia

«Siam garibaldini, tutti, uomini e donne: se vediamo un’ingiustizia ci s’infiamma! C’e l’abbiamo nel sangue, come i nostri trisavoli», dice Michela Sgarallino. A casa Sgarallino il 1860 non è mai passato. Il 5 maggio a Quarto, il 7 con l’approdo a Talamone, il 19 giugno quando agli ordini di Vincenzo Malenchini 1.200 volontari salparono per la Sicilia, sono vivi nel ricordo e il tricolore sbrindellato che la famiglia conserva —e che è stato a Curtatone e Montanara e con i Mille— è il simbolo della Livorno garibaldina. Dalla città labronica arrivò la partecipazione più numerosa (dopo quella di Bergamo, sì della oggi leghistissima Bergamo) alla spedizione di Giuseppe Garibaldi che si chiuse con la celebre stretta di mano col Re a Teano ed i 150 anni dell’Unità d’Italia sono un motivo per rinfrescare l’orgoglio cittadino. Per ricordare che gli «altri mille», i 1.200 volontari toscani che partirono a giugno dalla spiaggia di Calambrone, erano quasi tutti livornesi. Gli altri mille erano come i 1.089 partiti da Quarto e gli 82 toscani tra di loro, per lo più giovani, molti con mestieri umili, altri con esperienze militari fresche del ’59 o vecchie del 1848. Il loro apporto fu forse decisivo per il successo delle operazioni militari. Trovarono in Sicilia altri ex sudditi del Granducato, il livornese Giuseppe Bandi, giornalista e uomo di fiducia del generale, Jessie White Mario, l’infermiera scrittrice e suo marito Alberto, ma anche il famoso Alexandre Dumas, autoinvitatosi ad un’impresa che sapeva avrebbe fatto la storia.

Tutta la Toscana patriottica, sia i repubblicani di Mazzini, che i moderati che accettavano l’idea dell’unificazione sotto i Savoia, si era mobilitata per la spedizione «segreta» dell’Eroe dei due mondi. «Si fa gran mistero su questa partenza... ma intanto tutti sanno che Garibaldi è a Genova e che andrà in Sicilia. In città abbiamo dato e pigliato grandi strette di mano e caldi auguri», raccontava Cesare Abba, che si preparava dai primi di aprile. Giuseppe Bandi raggiunse la città ligure, chiamato da Garibaldi, mentre Jacopo Sgarallino, con 32 concittadini raggiunse Genova e suo fratello Andrea con altri 77 livornesi si preparava ad agire. A Firenze, dove era stato uno dei triumviri del 1859, assieme a Ubaldino Peruzzi e Alessandro Danzini, VincenzoMalenchini collaborava con Garibaldi, Bixio e Giacomo Medici per l’arruolamento e la preparazione militare dei volontari, nonchè per la raccolta di fondi, mentre il fornaio rivoluzionario (e massone e mazziniano di ferro) Giuseppe Dolfi infiammava gli animi e raccoglieva uomini. A Talamone, dove il Piemonte e il Lombardo si fermarono per fare rifornimento di munizioni e carbone, si incrociarono le strade di Andrea Sgarallino e del nizzardo. «Il mio trisavolo arrivò lì con una tartana, come ordinatogli da Garibaldi a Genova il 2 maggio, per unirsi alla colonna che doveva invadere via terra lo Stato Pontificio per far credere che quello fosse il vero obiettivo della spedizione — racconta Michela Sgarallino, erede della memoria e del Dna di famiglia—E al giovane livornese Cesare Gattai consegnò la bandiera che le donne di Reggio Emilia avevano cucito e dato ai volontari toscani diretti verso Curtatone e che il mio avo aveva ripreso agli austriaci. Il tricolore fu sventolato sulle barricate nella rivolta anti-austriaca di Livorno del 1849 e salvato nuovamente. La leggenda dice che la mia trisavola Giuseppina, la sora Beppa come la chiamavano, la cucì all’interno del corpetto, impedendo così che fosse trovata dagli austriaci; comunque sia andata, fu divisa in tre, per poter poi ricomporre il tricolore. Cesare Gattai fu il portabandiera a Catalafami, rimase ucciso della battaglia, ma la bandiera rimase ai livornesi e tornò alla fine in città, alla nostra famiglia. E la conserviamo, assieme a molti altri cimeli garibaldini, nella stanza che per i miei nonni era semplicemente il salotto dei ricordi ».

Andrea Sgarallino, nominato da Garibaldi colonnello, al comando del gigantesco Callimaco Zambianchi, invase lo stato del Papa e quando la colonna rientrò in Toscana e si disperse, fu arrestato e incarcerato a Livorno, ma evase e raggiunse le camicie rosse in Sicilia. Primo caduto dei Mille fu Desiderato Pietri, nato in Corsica, ma vissuto a Livorno, tipo strano a giudicare dal racconto del Bandi, nel cui reggimento si trovava. «Desiderato Pietri saltò giù dal greppo, e col mio fez in testa e il suo bravo schioppo in mano, si diè a camminare contro il nemico, in mezzo alle fitte pianticelle delle fave, che cuoprivano la campagna — scrive Bandi nel suo libro I Mille — Tosto io dissi: Generale (Garibaldi, ndr), debbo chiamarlo indietro quel matto? Lasciatelo fare, rispose il generale. Ognuno ha la sua ispirazione. Tacqui e seguitai a guardare. Il povero diavolo, tratto pei capelli dal suo destino, camminò ancora cento o dugento passi, e poi fece alto, e s’inginocchiò ». I 1.200 uomini guidati da Vincenzo Malenchini e Francesco Lavarello, capitano di lungo corso e livornese, raggiunsero la Sicilia nel golfo di Castellammare, portando anche soldi ed il medico di Castelfiorentino Giovanni Faralli.

I toscani, il 17 luglio con 500 uomini, combatterono a Coriolo e tre giorni dopo aMilazzo e Malenchini ed i suoi volontari parteciparono a tutta la spedizione, come molti altri toscani. Ad iniziare dai 500 radunati dal Dolfi e che si distinsero sul Volturno. Il 30 agosto, da Livorno partì un’altra spedizione di rinforzo ma ben poco si sa di questi garibaldini. Il tricolore conservato dagli Sgarallino forse troverà posto in un museo comunale di Livorno («ci piacerebbe valorizzarlo, d’accordo con la famiglia», dice il sindaco Alessandro Cosimi) e intanto si riscoprono luoghi, musei (chiusi o meno) e nomi. Figure note, come quelle di Bandi, White Mario e Malenchini (su cui è in atto un progetto di ricerca del corso di storia militare dell’Ateneo di Firenze, coordinato dalla professoressa Carla Sodini) o quasi dimenticate. Come quella di Stefano Siccoli, fiorentino, già sulle barricate a 14 anni, che conobbe Garibaldi in Perù e lì perse una gamba combattendo per la libertà del Paese. Sbarcato «con la forza» dal generale a Talamone, raggiunse la Sicilia e combattè con onore. Forse l’unico invalido dei Mille e degli «altri mille». 2- Continua

Mauro Bonciani
16 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

Non è possibile
inviare commenti
a questo articolo
Commenta la notizia CONDIVIDI LE TUE OPINIONI SU CORRIERE FIORENTINO.IT
0
Leggi tutti i commenti
Pubblicità

SERVIZI A firenze

Tutte >
VETRINApromozioni
FOTOGALLERY

Il meraviglioso volo dell’Ibis eremita

201428 settembre 2014

Piazza Duomo invasa dai cuscini

201428 settembre 2014

E la città scopre la «neve» a settembre

201428 settembre 2014
  • Seguici su Twitter e diventa nostro follower.Riceverai le notizie su Firenze in tempo reale
  • Clicca "Mi piace" e diventa nostro fan. Invia una mail con la tua foto di Firenze. Diventerà la copertina della fanpage