1861-2011 L’Unità d’Italia
Quella Dynasty Lorena
Dopo la morte di Gian Gastone de’ Medici il nuovo corso della Toscana. Nel segno delle riforme

«Noi, Francesco Stefano, per grazie di Dio Duca di Lorena e Bar, Re di Gerusalemme, Duca di Teschen, ecc.. ecc...». Non erano neppure passati tre giorni dalla morte di Gian Gastone che nel centro della capitale apparvero i manifesti con la trascrizione dell’investitura del primo Lorena a Granduca di Toscana. Era il 1737. I Lorena, due anni prima, erano stati designati dalle potenze europee alla guida della Toscana, dopo la morte senza eredi dell’ultimo Medici e tutti si interrogavano sul futuro, per compensarli del passaggio del ducato alla Francia. Francesco Stefano aveva sposato Maria Teresa d’Austria (unica erede al trono di Vienna, destinata a diventare Imperatrice) e per garantire l’indipendenza della Toscana dallo stato asburgico si stabilì di tenere separate le due corone, mantenendo per il primogenito della casata degli Asburgo-Lorena il titolo imperiale, mentre al secondogenito doveva andare quello granducale. Francesco II, così si chiamò il Granduca, nominò una Reggenza e mise piede a Firenze solo nel 1739, accompagnato dall’augusta moglie, per un soggiorno di poche settimane. Cambiò comunque il corso della Toscana. La prima azione fu saccheggiare le risorse della regione e vendere tutto il vendibile del patrimonio dei Medici (compresi i 789 gioielli che Anna Maria Luisa aveva inserito nel «Patto di famiglia » l’accordo con il quale vincolò a Firenze i capolavori di Uffizi e Palazzo Pitti) ma nel lungo regno di Francesco II (imperatore del Sacro Romano Impero nel 1745) furono ridotti i privilegi feudali ed ecclesiastici, aumentata la pressione fiscale e migliaia di uomini furono inviati a combattere e morire nelle fila dell’esercito austriaco, mentre la reggia granducale di Palazzo Pitti rimaneva deserta.
Ma il primo «vero» Granduca fu Pietro Leopoldo, che ereditò la Toscana alla morte del padre. Il diciottenne Pietro Leopoldo, al braccio della diciannovenne moglie Maria Luisa di Borbone, entrò a Firenze il 14 giugno del 1765, accolto da tutto il popolo e da molta curiosità. Leopoldo I, questo il titolo che scelse, fu tra i più illuminati sovrani del suo tempo. Affermò l’indipendenza dello Stato dalla Chiesa, promuovendo anche le idee gianseniste di Scipione de’ Ricci, vescovo di Pistoia, sciolse i tribunali e gli enti ecclesiastici inutili e cacciò dallo Stato i gesuiti. Pose le basi per la moderna agricoltura, limitò i latifondi, decise la nascita delle Comunità (embrioni dei moderni Comuni), avviò la bonifica della Maremma. Riformò poi il commercio e il catasto, alleggerendo le tasse, sciolse la flotta militare, creò la Specola e l’Accademia delle Belle Arti. Circondato di funzionari liberali, come Pompeo Neri e Giulio Rucellai, nel 1786 osò quello che nessuno Stato aveva mai fatto prima: con il nuovo ordinamento giudiziario cancellò la pena di morte, la tortura e il reato di «lesa maestà», complice «la maggior dolcezza e docilità dei costumi del presente secolo e specialmente del popolo Toscano», come scrisse. Leopoldo I, tra molte resistenze dei conservatori, ma anche degli Asburgo, stava lavorando ad una riforma costituzionale basata sul binomio popolo-Sovrano, quando nel 1790 salì al trono imperiale alla morte del fratello Giuseppe e la riforma finì nel dimenticatoio.
La capitale accolse con feste, balli e ricevimenti il nuovo Granduca Ferdinando III, destinato a convivere con il terremoto napoleonico, perdendo ben presto anche l’appoggio del babbo-imperatore, morto nel 1792 per colpa di una colica. Ferdinando si sposò due volte, fu un appassionato cacciatore e si allontanò dalle politiche precedenti, restituendo privilegi e poteri ai vescovi e ripristinando protezionismo in agricoltura e commercio e la pena di morte, spaventato dai rumori di guerra che sconvolgevano l’Europa. La «neutralità» dichiarata non lo protesse e nel 1799 la Toscana fu invasa dai francesi costringendolo alla fuga e all’esilio dorato in Germania come Granduca di Salisburgo e Granduca di Würzburg. I francesi, cacciati a furor di popolo dal movimento sanfedista dei «Viva Maria», tornarono in Toscana nel 1800 e vi restarono fino al 1814. Il congresso di Vienna restaurò i vecchi sovrani sui troni e Ferdinando III rientrò allargando il suo territorio con la dote dello Stato dei Presidi, del Principato di Piombino e dell’Elba. Il Granduca si distinse per moderazione: non ci furono né epurazioni, né arresti di massa. Anzi: in riva all’Arno arrivarono da tutti gli altri stati italiani i profughi politici dei movimenti rivoluzioni del 1820. Il Granduca lanciò un programma di costruzioni di strade e bonifiche e proprio in Maremma contrasse la malaria che lo portò alla morte nel 1824. Federico fu imbalsamato e al lutto seguirono i festeggiamenti per la nuova incoronazione.
Leopoldo II, nato a Firenze ma che aveva passato la giovinezza in Germania al seguito del babbo, si appoggiò a Vittorio Fossombroni, confermando i ministri precedenti e mostrandosi indipendente dall’Austria e dall’ingombrante parentela con gli Asburgo. Canapone, come fu soprannominato per il colore dei capelli, attuò la seconda modernizzazione della Toscana (costruì ferrovie, bonificò la Maremma, ampliò il porto di Livorno, portò scienziati alle università di Pisa e Siena, varò la riforma civile, amministrativa, giudiziaria e fiscale) ma il suo governo è diviso in due. Prima e dopo il 1849. Prima, incarnò le speranze dei moderati e dei patrioti, fu al centro di scambi culturali e politici di respiro europeo, anche se fu chiusa l’Antologia del Vieusseux, concesse lo Statuto e la Guardia Civica e inviò i volontari toscani a Curtatone e Montanara per combattere a fianco dei Savoia contro l’Austria. Dopo, divenne reazionario e governò sulla punta delle 15.000 baionette dei soldati austriaci che devastarono Livorno e lo riportarono a Firenze, dopo la sua fuga a Gaeta sotto la protezione dei Borboni. Canapone seguì pedissequamente le direttive di Vienna, rinnegando la politica lorenese mentre classe dirigente e popolo si allontanavano sempre più da lui. La Toscana divenne Toscanina, chiusa e apparentemente immobile, tanto le truppe austriache se ne andarono, ma nessuno aveva dimenticato il voltafaccia di Leopoldo II e la dichiarazione di guerra del Piemonte all’Austria, nel 1859, riaccese la miccia. «Le Grand Duc est triste et abattu» scriveva il plenipotenziario francese Ferrière-Le Vayer ed aveva ragione. Il 27 aprile, dopo le dimissioni dei ministri, i cortei in città ed un colloquio con Neri Capponi, Leopoldo, come rassegnato di fronte agli eventi, decise semplicemente di andarsene. Le cronache dicono che per salvare il regno aveva pensato di abdicare in favore di suo figlio maggiore, il 24enne Ferdinando IV — «troppo tardi!» gli fu risposto — e che aveva tentato di far bombardare Firenze da Forte Belvedere, ma comunque sia andata lui e la sua famiglia salirono in carrozza con pochi bagagli. Il piccolo corteo granducale, preceduto da un drappello di dragoni, alle cinque di quel pomeriggio imboccò via Bolognese e la strada per l’esilio.
Undici mesi dopo, complice il Barone di ferro Bettino Ricasoli, il plebiscito consegnò la Toscana
al Piemonte e pose le basi per il Regno d’Italia. Ferdinando IV (che poi organizzò in Toscana un partito che sotto lo scudo dell’autonomia difendesse i Lorena e finanziò il giornale Firenze) nel suo diario scrisse: «Alla salita della Lastra vidi, benché cominciasse ad essere buio, Firenze emi sembrava impossibile e mi pareva come in un brutto sogno e da una forza invisibile essere portato lontano da quella che avrei sempre voluto vedere e spero di rivedere bella e amica...», mentre la granduchessa Maria Antonia piangeva in silenzio. Il sofferto esilio di Ferdinando IV durò tutta la vita, suo nipote Goffredo riportò la Segreteria Granducale a Firenze e fu arrestato dalle SS a Salisburgo subendo la confisca di tutti i beni; Leopoldo, figlio di Goffredo, sposò una divorziata infrangendo così lo statuto dell’Ordine Militare di Santo Stefano che obbliga a matrimoni religiosi (e al cattolicesimo) ed ha abdicato nel 1993 in favore di Sigismondo. Oggi le salme dei granduchi riposano nella cripta dei Cappuccini a Vienna e il testimone dei Lorena è in mano a Sigismondo Ottone Maria Giuseppe Goffredo Enrico Erik Leopoldo Ferdinando di Asburgo Lorenza, Arciduca d’Austria, principe reale di Ungheria e Boemia, Granduca di Toscana, Gran Maestro del Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire, dell’Ordine di San Giuseppe e dell’Ordine del merito civile, capo della Imperiale e Reale casa dei Lorena. Nato a Losanna nel 1966, ingegnere informatico, residente in Inghilterra, cittadino onorario di Grosseto e Pisa, Sigismondo— che come tutti i suoi avi non mai ha rinunciato alla sovranità sulla Toscana—qualche volta torna nell’ex Granducato. Dal sito ufficiale degli Asburgo- Lorena www.granducato. org saluta i web-nauti. Nelle foto lui, sua moglie ed i suoi tre figli (Leopoldo Amedeo, il più grande, è Arciduca ereditario e Gran Principe di Toscana) sorridono. Come sorrise in quel pomeriggio fresco del 27 aprile 1859 l’ultimo granduca regnante. «Signori arrivederli, arrivederli! » disse Leopoldo II, già sul colle di Fiesole, ai popolani che si levavano il capello al suo passaggio. Ma la storia e gli italiani decisero diversamente e in Toscana non tornò più. (9— Continua)
Mauro Bonciani
16 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
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