il caso

La bufera senese scuote la Toscana

Il segretario regionale: chi lavora per far cadere un nostro sindaco è fuori dal partito. Il Pd chiede la testa del presidente del Consiglio. Letta: basta coi giochini

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La bufera senese scuote la Toscana

Il segretario regionale: chi lavora per far cadere un nostro sindaco è fuori dal partito. Il Pd chiede la testa del presidente del Consiglio. Letta: basta coi giochini

FIRENZE - Siena chiama, Firenze risponde. Il voto negativo sul bilancio che decreta la fine della maggioranza senese uscita dalle urne nel 2010, mette in bilico anche Alberto Monaci; la sua appartenenza al Pd, perché «chi, da iscritto del Pd, lavora per far cadere un sindaco del Pd, si pone fuori dal Pd» attacca il segretario regionale Andrea Manciulli. Ma anche il ruolo istituzionale di Monaci, la presidenza del Consiglio regionale, è a rischio. Il Pd di Siena chiede le sue dimissioni, e a novembre c’è la verifica di metà mandato in Regione, la riconferma di Monaci è tutt’altro che scontata. A sostegno di Franco Ceccuzzi interviene anche il vicesegretario del Pd, su Twitter: «A Siena si usano motivi politici per fatti personali. Sostegno al sindaco, basta con i giochini. Impegno a dare un futuro a Mps depoliticizzato».

Siena chiama, Firenze risponde: i vertici regionali del Pd per giorni si sono trasferiti a Siena. Manciulli ha cercato, insieme a Stefano Bruzzesi — responsabile enti locali, che ieri parlava del «sapore amaro» della vittoria ai ballottaggi — ed altri esponenti senesi o meno del Pd, di far ragionare i «ribelli», i consiglieri comunali senesi legati a Alberto Monaci che, con il loro voto negativo, avevano fatto andare sotto la maggioranza al primo voto sul bilancio. Niente da fare, ieri un altro niet sul rendiconto 2011. E in quella che doveva essere la «giornata storica» della vittoria nella «bianca Lucca», accade un altro evento storico: verrà — forse — commissariato il Comune di Siena. Il fulcro del «potere» della sinistra toscana (insieme alla Dc), la città che brillava sempre per qualità nella vita e per reddito procapite in tutte le classifiche. La ferita provoca reazioni pesanti. La prima reazione è quella del Pd senese, che «segnala» ai Garanti i sette consiglieri democratici del no al bilancio (più uno dei riformisti) e chiede le dimissioni di Monaci da presidente del Consiglio regionale; perché non ci sono solo i «voltagabbana» — una delle definizioni con cui il sindaco Ceccuzzi si è rivolto ai ribelli —, ma anche quelli che «nell’ombra» già tramavano e «inciuciavano alle nostre spalle». Manciulli non lascia spazio a fraintendimenti: chi «lavora per far cadere un sindaco del Pd» non ne può far parte.

Sarà il Collegio di garanzia a decidere, ma i diretti interessati già lo sanno: il segretario gliel’ha detto «fino allo sfinimento». E non ci sono solo i «ribelli» del Consiglio comunale: «La questione riguarda tutti quelli che hanno portato a questa situazione politica: il segretario segnalerà il problema politico che si è verificato, e chi in qualche maniera è interessato da questa vicenda». Nelle riunioni infinite per evitare il crollo del Comune, i sette sono stati più volte accompagnati proprio da Monaci. «Il Pd — chiosa Manciulli — nelle sedi competenti si fa rappresentare da chi il Pd lo vuole rappresentare». Parole che suonano come un count down per l’incarico di Monaci, come detto sottoposto a verifica a novembre. L’ex Dc senese aveva già capito dove si sarebbe andati a parare: tanto che ieri mattina prima del voto aveva chiesto di non eludere la questione «tecnica» sul bilancio (i mancati fondi della Fondazione Mps al Comune) «affogandola nelle scomuniche» in «minacce di deferimenti, in colpi di teatro», qualcosa che puzza di «processo staliniano». Manciulli non solo dice dove si arriverà — ha già fissato un vertice della direzione Pd il primo giugno, terzo punto all’ordine del giorno «La crisi di Siena» — ma precisa anche che «la questione Ds-Margherita non c’incastra nulla». Monaci e i dissidenti non sono l’anima ex Dc di Siena, bensì «un gruppo che proviene da una storia politica ma che non la rappresenta a tutto tondo». L’ultimo strenuo tentativo di mediazione lo fa Bruzzesi: «Il bene della città viene prima di tutto, mi auguro che il gruppo dei dissidenti sappia ritrovare le ragioni dell’unità per il bene di Siena». Ieri mattina, mentre i parlamentari incontravano il governatore Enrico Rossi, c’era ancora chi sperava in un’altra soluzione. «Fino all’ultimo minuto», parafrasava Piero Ciampi uno di loro, uscendo di fretta dalla sede in via Forlanini. Ma lunedì, nella riunione della giunta regionale, Rossi appariva «torvo». Un’altra grana per la regione (con la minuscola).

Marzio Fatucchi22 maggio 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

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1
Fine di un mito?
24.05|14:54

Con il caso Siena, mi sa che si incominciano a sentire i primi scricchiolii della "cupola" governativa dominante in Toscana. Ne vedremo delle belle, con tutti gli ex PCI, ora PDiini allo sbando, ma sempre pronti a dire: siamo i primi! siamo i migliori (forse di "migliore" hanno creduto di averne avuto uno solo ben 70 anni fa!), siamo la garanzia dell'Italia, e bla , bla , bla...., ma anche i primi a far rischiare il fallimento della Banca più' antica del mondo: BRAVI, non c'e' che dire! Ma tranquilli: i gonzi con le pezze di prosciutto sugli occhi son difficili ad estinguersi, almeno nella ERITRO-TOSCANA!

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