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il libro

Vita spericolata
Insieme a Vasco

Il 12, 13, 17 e 18 ottobre il tour di Vasco si ferma a Firenze, al Mandela Forum. Quattro giorni da tutto esaurito. Ma prima del successo, com'era la band? Il racconto in un libro del chitarrista Solieri

Il 12, 13, 17 e 18 ottobre il tour di Vasco si ferma a Firenze, al Mandela Forum. Quattro giorni da tutto esaurito, tanto che l’organizzazione invita a restare a casa chi non è munito di biglietto. Vasco proporrà uno show di oltre due ore con trenta canzoni, accompagnato dalla sua mitica band e dallo storico chitarrista Maurizio Solieri, autore, insieme a Massimo Poggini dell’autobiografia «Questa sera Rock 'N' Roll. La mia vita tra un assolo e un sogno» (Rizzoli). Ma come erano Vasco e i suoi musicisti prima del travolgente successo? Solieri li racconta nel capitolo «Steve Rogers Band» che pubblichiamo in parte.

A forza di aggiustamenti era nata la band che negli anni successivi avrebbe accompagnato in modo stabile Vasco, però ancora non aveva un nome. L’ispirazione ci venne mentre stavamo registrando negli Umbi Studios, e scaturì da uno scherzo telefonico. Vasco aveva già un bel seguito femminile, spesso le fan lo cercavano al telefono mentre eravamo in sala. Un giorno ero con Elmi e Maurizio Maggi, titolare nonché fonico dello studio, quando arrivò la telefonata di una ragazza che cercava Vasco. Elmi rispose facendo un po’ lo scemo e prese in giro la fan imitandone la voce. Lei gli domandò: «Ma tu non sei Vasco, chi sei?». E lui: «Io sono Steve. Steve Rogers». Io dissi immediatamente: «Bellissimo. Potremmo chiamarci Steve Rogers Band». E quello diventò seduta stante il nome ufficiale del gruppo (...). Il feeling tra noi della band era fantastico. Non c’erano gelosie, eravamo davvero amici. Vivevamo della nostra musica ed eravamo contenti di suonarla. Giorno dopo giorno il nostro suono diventava più rock, conseguentemente gli atteggiamenti diventavano più strafottenti. Giocavamo a fare i rocker, ma eravamo ingenui e senza esperienza, quindi spesso ci scappava un bicchierino di whisky in più e a volte salivamo sul palco piuttosto alticci. Con il tempo ho capito che se vuoi suonare bene e fare un grande show devi essere lucido, ma allora eravamo convinti che buttar giù più alcol possibile e assumere qualche sostanza extra fosse la filosofia giusta per «essere rock». Niente di più sbagliato, in realtà a darti la carica per fare uno spettacolo della madonna non è la sostanza dopante, ma la grinta che hai dentro.

Non è che fossimo imbottiti di chissà quali sostanze. Certo, ne usavamo, ma il nostro era prevalentemente un gioco: giocavamo a fare le rockstar, assumendo le pose classiche della star maledetta. Non che dietro ci fosse uno studio, una premeditazione. Salivamo sul palco e ci veniva naturale comportarci così. Il più fuori di tutti, l’ho già detto, era Riva, ma anche noi non scherzavamo (...). Iniziammo a vivere in modo sempre più rock. A volte ai nostri concerti c’erano poche decine di persone, ma almeno in Emilia Romagna il nostro pubblico cresceva costantemente. Ci comportavamo in maniera molto goliardica. Mimmo Camporeale non esitava a calarsi le mutande sul palco, Riva faceva sempre un gran casino. E attorno a noi comincia a formarsi un’autentica corte dei miracoli. Spesso, alle feste dell’Unità, rubavamo le pentole nelle cucine per fare dei gavettoni alle nostre ragazze. Una volta, dopo un concerto a San Venanzio di Galliera, vicino a Bologna, salimmo su una 500 in sei, zigzagando come folli nei prati circostanti (...). Vasco decise di andare a Sanremo con uno dei pezzi più easy, quello che avrebbe dato il titolo all’album, Vado al massimo (...). Subito dopo Sanremo ci accorgemmo che qualcosa stava cambiando. Il pubblico aumentava sera dopo sera, ma succedeva ancora di passare dalle stelle alle stalle. Fuori dall’Emilia ancora si stentava parecchio, con l’unica eccezione di Brescia, dove, grazie all’organizzazione di Diego Spagnoli, che peraltro aveva già iniziato a lavorare con noi, riuscivamo a riempire il Palatenda.

Nei giorni successivi andavamo a Torino o a Campi Bisenzio, dalle parti di Firenze, e non c’era quasi nessuno (...). La botta decisiva arrivò con la seconda partecipazione a Sanremo, nel 1983, dove Vasco presentò Vita spericolata (...) e anche se il risultato finale del Festival fu piuttosto deludente (penultimo posto, dietro a Viola Valentino e davanti a Pupo), Vita spericolata piacque a tutti e presto ci ritrovammo con l’album Bollicine primo in classifica e i concerti pieni di gente. Spesso eravamo fusi, ma non al punto da non renderci conto che qualcosa stava cambiando. Ancora non immaginavamo che un giorno avremmo riempito San Siro, ma già allora riempivamo i campi sportivi di provincia. La consacrazione di Vasco arrivò con la vittoria al Festivalbar con Bollicine. Durante la serata finale all’Arena di Verona proponemmo un miniconcerto rigorosamente in playback. L’entusiasmo era alle stelle. Quella sera Vasco urlò dal palco una frase passata agli annali: «Ragazzi, ho vinto io! Non c’è più religione!». Alla fine dello spettacolo andammo tutti assieme a festeggiare in un noto ristorante, e ci portammo dietro la solita corte dei miracoli (...).

Maurizio Solieri
Massimo Poggini
11 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

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