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il documentario «LEFT BY THE SHIP»

I bambini che non esistono

Nati dalle prostitute e dai soldati della base Subic Bay ma mai riconosciuti dalle autorità di Washington

Come nasce un film documentario, quali storie e quanto lavoro sono alla base delle proiezioni che fiorentini e non possono ogni anno vedere al Festival dei Popoli, giunto alla sua 51esima edizone. Lo abbiamo chiesto a due registi, Emma Rossi Landi e Alberto Vendemmiati che proprio a Firenze il 18 e 19 novembre presentano il frutto di un impegno durato due anni. «Left by the ship», questo il titolo del loro documentario, che affronta le conseguenze psicologiche e sociali della presenza militare americana nelle Filippine. Un lungometraggio co-prodotto da Raicinema, ITVS International e la VisitorQ dei documentaristi registi Vincenzo De Cecco e Riccardo Cremona che nel 2009 hanno vinto con il loro «Little Miss China» (documentario sulla generazione di cinesi con incursione anche nel distretto pratese) il TekFestival. Come spesso capita, grazie al Festival dei Popoli anche la storia vera raccolta dall'occhio oggettivo delle telecamere di Rossi Landi e Vendemmiati proietta da Firenze nel mondo una porzione di realtà globale che molti non conoscono. Così il tema affrontato in Left by the ship è pronto dalla capitale del rinascimento a fare il suo ingresso nella realtà e nella vita di quanti ignoravano una storia dura e drammatica come quella degli Amerasiatici. Una fetta di realtà complessa e nuova anche per gli autori che ci raccontano come ne sono venuti a conoscenza.

I bambini che non esistono
  • I bambini che non esistono

«La prima a parlarci degli Amerasian è stata la madre di Emma, attivista femminista statunitense, che da anni ha contatti con delle ONG nelle Filippine. Emma è italo/americana e conosce bene la sensazione di smarrimento e non appartenenza che si ha quando si è sospesi tra due culture. Le storie degli Amerasiatici ci hanno colpito immediatamente, perché vivono questa condizione in una situazione estrema, non essendo stati riconosciuti dal governo statunitense e portando sulle spalle il peso del passato delle madri. A questi bambini, oggi quasi adulti, sono stati negati i più basilari diritti umani, quelli connessi al diritto di nascita, cioè ad essere riconosciuti e ad ereditare un’identità. Sono effetti collaterali viventi di politiche e strategie militari globali. Oltretutto l’ingiustizia che hanno sofferto ha solo occasionalmente attratto l’attenzione dei media, a differenza degli Amerasiatici di altri paesi, in particolare vietnamiti. Ci sono sembrate premesse più che sufficienti per pianificare il primo viaggio».
Quali sono state le difficoltà maggiori nella realizzazione?
«All'inizio pensavamo che il problema della lingua e della differenza culturale potessero rappresentare i principali ostacoli. Ma avvicinandoci ai nostri protagonisti in maniera umile e aperta, siamo riusciti a creare un rapporto personale che andava oltre le barriere linguistiche. La difficoltà principale è stata forse la distanza geografica. Le storie che abbiamo scelto di raccontare si sviluppavano a più di 10000km dall'Italia e, per ovvie ragioni, non abbiamo sempre potuto essere lì ogni volta che accadeva qualcosa. La vita è imprevedibile, soprattutto nell’età dei nostri protagonisti, e quindi anche volendo, saremmo sempre arrivati tardi. Comunque crediamo che i sei mesi di permanenza nelle Filippine, distribuiti in due anni di tempo, ci abbiano permesso di raccontare le loro storie. Anche le difficoltà economiche si sono fatte sentire, soprattutto all’inizio del progetto, quando non avevamo coproduttori esterni. Questo tipo di progetto è sempre una scommessa, perché uno non può mai sapere cosa accadrà nel film fino ad averlo terminato, e dunque è difficile cercare cofinanziatori. Poi, grazie alla fiducia di Raicinema, di YLE e, dopo aver vinto il prestigioso bando americano ITVS, abbiamo sentito che tutti i nostri sforzi venivano via via ricompensati. E’ un processo lungo, a volte si ha la sensazione di combattere contro i mulini a vento, e che nulla abbia senso. Bisogna continuare ad amare il proprio progetto. Curando tutti gli aspetti del film in due, dalla produzione, alla regia, alle riprese e al montaggio, ci sono stati inevitabilmente momenti di crisi. Ma abbiamo sempre rilanciato. Nel frattempo ci siamo addirittura sposati!» .
Nessun dubbio nel presentare il vostro lavoro a Firenze al Festival dei Popoli. Cosa significa oggi proiettare in questa rassegna?
«Il Festival dei Popoli di Firenze è la più antica rassegna dedicata ai documentari in Italia, l'unica con una precisa missione sociale ed etnografica. Si pensi al nome e già questo risponde alla domanda, per un film come il nostro. Abbiamo privilegiato questo festival, rispetto ad altri italiani che si occupano soprattutto di film di finzione, perché ci sembra che in quei festival il documentario spesso non sia sufficientemente valorizzato. Il Festival dei popoli rappresenta il tempio italiano del documentario, il pubblico è attento e apprezza questo genere cinematografico, che in Italia non riesce sempre a trovare spazi adeguati. Quest'anno poi, la contemporaneità degli Italian Doc Screenings, ci consente di invitare alla proiezione gli addetti ai lavori delle TV estere e del documentario internazionale, che non è poco. Un’occasione unica nel nostro Paese».
Dopo le proiezioni fiorentine giovedi 18 Novembre 2010 cinema Odeon ore 19 (Replica: Venerdi 19 Novembre cinema Spazio Uno ore 15) dove e come potremo vederlo?
«Il film andrà in onda nel 2011 negli Stati Uniti ed in Finlandia. Teniamo molto alla messa in onda statunitense, perché speriamo che questa possa far parlare degli Ameraisatici proprio in America, dove è fondamentale. Stiamo programmando una distribuzione homevideo. La distribuzione Italiana è di Raicinema. Per quanto riguarda i festival, abbiamo iscritto il film a diversi festival importanti ma ancora non possiamo dire nulla. Incrociamo le dita. A cosa altro state lavorando? Abbiamo appena finito Left By The Ship dopo tre anni di lavoro molto intenso e adesso speriamo di prenderci una pausa. Nella nostra esperienza, è la vita che ti offre altri spunti proprio quando meno te l’aspetti. Devi saperli riconoscere e valutare. Ovviamente vivendo qui, in questo momento è l’Italia che ci offre più stimoli, ma vedremo».

Laura Antonini
12 novembre 2010(ultima modifica: 16 novembre 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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