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il concerto

Vasco, un'astronave spericolata

In quarantamila (in quattro giorni) al Mandela per la rockstar. Che canta da un palco speciale. La prima notte fiorentina dell'ultima tappa del tour

Vasco show: duro e dolce come le sue canzoni. Un po’ Steve McQueen e un po’ Natale in famiglia: «Vasco yeah. La mamma l’ho lasciata a casa perché questa è musica da uomini». Parola di Giulio, 12 anni e naturalmente in prima fila. Vasco saluta gli ottomila della sua prima sera al Mandela con l’ormai classico «ohh», versione metropolirockettara del normale «ciao». Ed è subito delirio. Segue un «Firenze, i miei rispetti». E un altro boato. Prima però, a introdurlo nel buio dell’attesa, ecco la prima sorpresa: note dal Requiem di Brahms che fa piombare nel silenzio più totale il palazzetto ricolmo. Silenzio subito troncato dalle prime note di Un gran bel film con cui il Blasco inizia questa sua avventura che lo vedrà di nuovo impegnato stasera e poi domenica e lunedì. Sotto i suoi piedi un palco-astronave, quattro enormi cubi sospesi e vortici di luci. Quarantamila paganti in tutto, esaurito fino all’ultimo posto— anche se perfino ieri sera i bagarini vendevano biglietti a 90 euro, 30 in più del prezzo ufficiale — per questo balzo finale di un tour estenuante che ha portato la rockstar italiana in giro per l’Europa per un intero anno. Con Firenze si chiude il cerchio.

In quarantamila (in 4 serate) per Vasco
  • Vasco, un'astronave spericolata

La sua ultima volta qui risale all’11 settembre del 2007 allo stadio. Per ritrovare l’ultima al chiuso invece bisogna tornare indietro al 23 aprile del 1996 nell’allora Palasport. Anche Vasco è in vena di amarcord: «Facciamo un passo indietro nel tempo a quando avevo i pantaloni corti». Boato. Parte la carrellata delle sue canzoni più amate, più «arrabbiate», quelle degli anni Ottanta. Che lui interpreta con la fame di allora e un look giovanilistico tra giacca di pelle nera, texani e cappelletto da baseball. Anche il suo popolo fiorentino ha fame, di musica. Tanta è stata l’attesa. Ripagata con 30 brani. Tra le prime file c’è Alessandro detto il Serra, 47 anni, impiegato all’Ardsu. Ha scritto «Vasco» un po’ dovunque, dalla bandana amaglia e pantaloni. «È il mio ventesimo concerto, il primo fu a Natale ’82. Ogni canzone è un pezzo della mia vita. E ilmio inno di Mameli è Vita Spericolata, quando la canta mi metto anche sugli attenti». Luisa, dietro di lui, 25 anni di Calenzano, sfoggia la scritta «Vasco» anche sul tanga che spunta dal vedo-non-vedo di ogni colpo di reni per alzarsi di scatto ad applaudire. Mentre dagli spalti appaiono le famiglie riunite. Come Andrea e Giulio, padre e figlio (47 e 12 anni) da Pistoia. «C’hanno solo da provare a propinarmi Lady Gaga e lamusica di oggi che non sa di nulla…» racconta Giulio. Avrà sì solo 12 anni ma a sentirlo non c’è dubbio: è un degno figlio degli anni Ottanta. Abbigliamento compreso.

Edoardo Semmola
13 ottobre 2010(ultima modifica: 14 ottobre 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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