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spettacoli

Comunale-Conlon, nozze d'argento

Dirigerà Coro e Orchestra del Maggio nel toccante Requiem di Dvorak, un capolavoro ma anche una delle sue partiture predilette

Arrivò per la prima volta sul podio del Maggio Musicale nel 1985, per dirigere il Don Carlos di Verdi: e la critica salutò con entusiasmo quel trentacinquenne direttore newyorkese, «uno dei grandi protagonisti della serata». James Conlon torna ora al Comunale per festeggiare le nozze d’argento del suo debutto: stasera (ore 20.30) dirigerà Coro e Orchestra del Maggio nel toccante Requiem di Dvorak, un capolavoro ma anche una delle sue partiture predilette. «Fu una grande esperienza, soprattutto per uno come me che ama molto Verdi», racconta Conlon. «Sono venticinque anni da quell’emozionante debutto, ma sono trascorsi anche quaranta da quando arrivai per la prima volta a Firenze. Il mio primo viaggio in Europa. Un giorno Roma, poi Firenze. E la prima, fortissima sensazione fu di trovarmi in mezzo a una straordinaria concentrazione di arte e cultura, racchiusa in un piccolo spazio. Non mi sarei mai immaginato che sarebbe nato un così lungo e felice rapporto con Firenze e il suo Teatro. È la città dove ho passato più tempo durante le mie presenze in Italia».

Conlon ama Firenze, lo si sente dalle parole; gli orchestrali del Maggio parlano di lui come di un gran gentiluomo. E magari, chissà, potrebbe essere anche lui una figura adatta da affiancare a Zubin Mehta. L’ultima volta l’abbiamo ascoltato nella Lady Macbeth di Sostakovic (2008) con la regia di Lev Dodin (recentemente approdata al Dvd); ora Dvorak, il Requiem, «una delle sue tante pagine ingiustamente poche eseguite e che io amo molto», continua Conlon, «e dove si rivela pienamente la profondità del rapporto di Dvorak con Dio. Gran parte della sua musica vive di questo rapporto religioso, ma guarda spesso, e non meno profondamente, all’essere umano e alla natura». Anche a Firenze Conlon si è dimostrato un apostolo della musica di Alexander Zemlinsky, musicista ammiratissimo da Mahler e costretto all’esilio dalle persecuzioni razziali, dirigendone l’opera Il nano: «È un dovere morale diffondere la musica di Zemlinsky, che è musica di altissimo livello: perché significa opporsi alla vittoria postuma del nazismo, che ha costretto all’oblio molti musicisti per questo ancora oggi a torto dimenticati».

Conlon ricorda poi i grandi, soprattutto del mondo dell’opera, che lo hanno fatto crescere professionalmente: Maria Callas («fu lei a far il mio nome per uno dei miei primi ingaggi»), Tito Gobbi, Boris Christoff, «grandi dive e grandi divi che però mi hanno insegnato un’etica professionale». Ora è attivo soprattutto nella natia America, «per scelte familiari», dove dirige l’Opera di Los Angeles e il Cincinnati May Festival: anche là si avvertono segni di crisi? «In America abbiamo un grande paradosso: ci sono tante orchestre formidabili, musicisti di primo piano. Eppure, non c’è teatro, non c’è istituzione sinfonica o cameristica che non stia perdendo sempre più pubblico. È la conseguenza di una classe politica che, a partire dagli anni Ottanta, ha sempre più mortificato la musica, la danza, la letteratura». Niente di nuovo, anche al di là dell’oceano dove non di rado inseguiamo il miraggio di un modello.

Francesco Ermini Polacci
14 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

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