L'INTERVISTA
«I démoni di mio fratello Francesco»
Venerdì al Festival di Roma, il mondo dello spettacolo renderà omaggio all'attore-regista. «Adesso vive a Prato, articola frasi, la mente è lucida. Ha vinto la sua guerra»
PRATO - In piedi, per favore, e chapeau. S’avanzerà l’ombra di uno strano soldato sul red carpet della fragile e opinabile celebrità cinematografica. Venerdì, una serata tutta per lui. Lui che non ci sarà perché ancora si sta allenando a rivivere, dopo aver vissuto in maniera talvolta sconsiderata. Può appena camminare, lentamente, per pochi minuti al giorno. La sua mente, lucidissima e acuta, partorisce pensieri e idee che per il momento riescono a tradursi in parole sillabate con enorme fatica. Ma se anche Francesco Nuti, a sei anni dalla sua caduta fisica e morale, fosse stato in condizione di presentarsi pubblicamente vispo e in forma come Caruso Paskowski avrebbe egualmente dribblato, con educazione, il set dei sorrisi forzati e delle passerelle in cartapesta. Dopo aver visitato l’inferno e aver combattuto contro i suoi Dèmoni, sconfiggendoli faticosamente uno ad uno, è arrivato a farsi un’idea precisa sul valore che si deve dare a ciascuna cosa terrena. Sicchè, il poeta che aveva generato il comico oggi è un filosofo. Ha imparato a distinguere la realtà dalla finzione. Ha cancellato dal suo vocabolario la parola vanità, madre di tutte le umane tragedie. Resta Francesco, con il suo miracolo di sopravvissuto e con i suoi affetti più autentici, raccontato qui dal fratello Giovanni. Un medico, ma anche a sua volta musicista cantautore, artista sensibile e colonna sonora di tutti i film grazie ai quali Nuti si è fatto amare al punto da meritare, venerdì sera, la prevedibile standing ovation. Francesco Nuti è nato a Prato il 17 maggio del 1955. Attore, sceneggiatore, regista: per vent’anni protagonista del cinema italiano. Sei anni fa un incidente in casa lo ha costretto a una delicata operazione alla testa. Suo fratello Giovanni, (nel tondo) di tre anni più grande, è medico e musicista. Ha composto le colonne sonore di alcuni suoi film.
Giovanni, partiamo subito dal dramma che avrebbe potuto concludersi in tragedia. Una notte di settembre, a Roma.
Giovanni Nuti, fratello di Francesco
«Quattro anni fa. Francesco è solo, nella sua casa ai Parioli. Si alza dal letto, esce dalla stanza e infila la scala che porta da basso, in cucina. Scivola e cade. Batte violentemente il capo contro lo spigolo di un gradino. Perde i sensi. Lo troverà, così la governante nove ore dopo. La corsa in ospedale. L’intervento chirurgico. Il miracolo».
Ha detto miracolo?
«Lo ripeto, usando la medesima parola usata dal professor Santoro che lo operò per quel trauma cranico che avrebbe potuto essere fatale».
Il cinema avrebbe perso un grande autore...
«Mi perdoni, di più. Io avrei perduto una parte di me stesso. Anna Maria, la sua compagna, un uomo dolce. Ginevra, la sua bimba di undici anni, un papà tenerissimo. Anna, nostra madre, un figlio adorato. Infine, il mondo avrebbe dovuto fare a meno di un poeta»
Un poeta maledetto, per certi versi.
«Come tutte le anime fragili e sensibili che, prima o poi, si trovano a dover fare i conti con i Dèmoni privati. Quello di Francesco, il più subdolo e devastante, si chiamava alcol».
Alcuni parlarono anche di droga.
«Una sciocchezza enorme. Mio fratello ha il terrore persino delle medicine!».
Quando avvenne e perché, l’incontro smodato di Francesco con i liquori?
«All’apice della sua carriera, paradossalmente. Quando si trovava seduto sulla cima della montagna. Per questo la caduta fu più devastante. Il perché è scritto nel suo carattere. La difficoltà di reggere l’enorme peso del successo. Accadde anche a Marilyn che, non a caso, è la protagonista di une delle più belle canzoni mai scritte da Francesco».
Si pensava che la depressione fosse arrivata dopo il fallimento di «Occhio Pinocchio» per il quale Vittorio Cecchi Gori rischiò di finire in mutande.
«Un capolavoro che il pubblico non capì anche per quel taglio di venti minuti che dovevano illustrare il famoso Paese dei Balocchi. In effetti, io chiamato per comporre la colonna sonora non mi resi conto di ciò che mio fratello voleva dire. Litigammo. Lui avrebbe voluto realizzare un film silenzioso».
Il fallimento di quell’esperienza portò all’esaurimento della vena creativa?
«Non del tutto. Realizzò altri due film: Caruso, zero in condotta e Il signor Quindicipalle. Certamente robette rispetto alla sua produzione precedente».
Ma lei. Giovanni, come fratello e come medico non si accorse della china lungo la quale stava scivolando Francesco?
«Io vedevo, io sapevo e avrei anche voluto intervenire. Ma lui, un classico per coloro che soffrono di depressione autodistruttiva, tendeva sempre di più verso l’isolamento. Immaginava di poter tenere sotto controllo il Dèmone che, invece, giocava con lui. Ricordo ciò che mi disse il responsabile degli Alcolisti Anonimi: non creda di poterlo salvare se non sarà lui a volerlo fare».
E lui ce l’ha fatta.
«Eccome. Ha vinto la sua guerra e, soprattutto, è consapevole di questo grande successo ottenuto. Oggi, dopo aver corso il rischio non solo di morire ma peggio ancora di trovarsi a sopravvivere come un vegetale, sta completando un percorso che lo ha già portato ad una forma di spiritualità interiore eccezionale. Tant’è, ha lasciato la sua casa di Roma per tornare a vivere qui a Prato dove la nostra mamma non lo abbandona mai e dove ha ritrovato tutti i suoi vecchi amici di un tempo. Ora riesce anche a muovere qualche passo e ad articolare delle frasi. Tra un anno dovrebbe essere in grado di vivere una vita quasi normale».
Anche di tornare al lavoro?
«Certamente non per recitare. Ma lui è un ottimo soggettista e sceneggiatore. Nel cassetto ha un paio di film che meriterebbero di essere prodotti. Olga e Quando potrò cullare un bambino. Eppoi, la regia la si può fare anche da seduti. Intanto, insieme, scriviamo canzoni come ai vecchi tempi».
Sul genere di «Sarà per te», un motivo bellissimo presentato a Sanremo? «Mi auguro ancora più belle: Uscirà, presto, un CD intitolato Le note di Cecco del quale un brano farà da colonna sonora al documentario di Mario Canale, Mi chiamo Francesco e vengo da lontano, che verrà presentato a Roma venerdì. Mio fratello lo ha già visto e, mentre lo guardava, si è commosso fino alle lacrime».
Non avrebbe, Francesco, la tentazione di farsi accompagnare alla serata in suo onore? «Neppure se fosse in grado di camminare. Certi Dèmoni sono stati sconfitti e non torneranno mai più».
Marco Bernardini
02 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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