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il colloquio

Il cantante triste, che non si annoia mai

I discorsi di Paolo Benvegnù sono come i suoi brani: sta all'interlocutore rintracciare i confini tra la realtà e il sogno. Così come nell'ultimo album. Il 2 aprile sarà al Viper

Sarà pure un “cantante di canzoni tristi”, come si definisce, ma almeno non annoia. Bisogna solo imparare a stargli dietro mentre allaccia i pensieri seduto a un caffè di Roma (fa la spola con Arezzo, dove vive, per la promozione del disco). I discorsi di Paolo Benvegnù sono come i suoi brani: sta all'interlocutore rintracciare i confini tra la realtà e il sogno. Mettendo in conto qualche invenzione: ha raccontato che il suo ultimo album, “Hermann” (La pioggia, dischi/Venus), che lo porterà il 2 aprile al Viper, è il frutto di un incontro mistico avvenuto a Lucignano, dove si è trovato una notte in preda ad un tormento. Lì una bambina, avvicinandolo, gli avrebbe consegnato un manoscritto di Fulgenzio Innocenti, padre della scrittura ottica: «C'è chi lo ha riportato pari pari – dice ridendo – è incredibile! Basterebbe avere un'opinione e verificare le fonti, non è mica difficile!».

Leggende a parte, il lavoro è corale, sottolinea, a conferma del nome della formazione sul palco: i Paolo Benvegnù (oltre al frontman Luca Baldini, Andrea Franchi, Guglielmo Ridolfo Gagliano, Michele Pazzaglia). «Contiene tre o quattro pezzi belli, e questo è l'importante. Insomma, sempre meglio del disco della prossima Miss Italia». Osserva il mondo che lo circonda dall’alto, come un funambolo in equilibrio sul filo del sarcasmo. «Mi spiace che dopo tutti i big di Sanremo ti tocchi parlare con me…» scherza. Anche lui in realtà al Festival ci è andato vicino. Avevo scritto un brano per Marina Rei, che si diverte a intonare tra un caffè e un succo di frutta: «Morandi ha detto che era una canzone troppo difficile e aveva ragione, anche se avrebbe vinto a man bassa». Roberto Vecchioni a parte, s’intende: «Lui è un grande e ha cantato come un uomo, perché è un uomo. Non come tante altre fiere che c'erano. D’altronde, dopo che hai scritto “Stranamore”, nella vita hai fatto tutto. Anche io spero di scrivere altre due o tre cose buone e poi andare a fare il benzinaio in provincia di Arezzo».

Intanto, tra i testi di “Hermann”, che definisce “inattaccabili”, uno recita «Non è la curiosità che spinge le intuizioni, ma semplicemente la noia»: «Finito il desiderio di sopravvivenza, l’uomo si stufa. Da questo punto di vista sono contento di essere più vicino al labrador meticcio che all'essere umano, con l’abitudine che ha di andare sempre oltre la sua tendenza fisica. Siamo esplosione di vita già nell’utero, è un miracolo: non potremmo pensarci un po' di più, invece di romperci le balle?». Tra una citazione di Moravia e una di Melville, gioca con un accendino viola: «Non tifo per la Fiorentina, quanto per i suoi tifosi: gli unici che cantano i cori contro i loro giocatori! Come entra uno nuovo gli gridano “scemo!”: questo rappresenta tutto il patrimonio polemico della popolazione, dalla Congiura de' Pazzi in poi».

Eredità dalla quale anche lui attinge a man bassa, senza indugiare in campanilismi. E’ contento ad esempio della migrazione a Lecce di Italia Wave (ei fu Arezzo Wave): «La Puglia è l'unico posto dove si respira un senso di rinascita. E' una coincidenza che ci sia Nichi Vendola? Capisco anche che Mauro (Valenti, patron della manifestazione, ndr) sia in cerca di Mecenati. Ha fatto bene». Anche per l’atteggiamento del pubblico: «Al sud la gente è più entusiasta delle cose che non può fare di solito. Qui alla sesta estate che ti sei visto Peter Gabriel, Patti Smith e compagnia, ti annoi. E torniamo al discorso di cui sopra, per l'appunto».

Diletta Parlangeli
10 marzo 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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