il film della settimana
This must be the place
Il regista napoletano si ferma sempre un attimo prima, non compie mai – neanche per azzardo – un passo in più
Regia: Paolo Sorrentino; Interpreti: Sean Penn, Judd Hirsch, Eve Hewson, Kerry Condon; Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello; Fotografia: Luca Bigazzi; Musica: David Byrne; Montaggio: Cristiano Travaglioli; Scenografia: Stefania Cella; Costumi: Karen Patch; Produzione: Indigo Film, Lucky Red, Medusa, Arp, France 2, The Irish Film Board; Distribuzione: Medusa. Italia/Francia/Irlanda, 2011, 118'
In Toscana è in queste sale: Firenze: Astra 2, Flora, Fulgor, Uci; Arezzo: Eden; Borgo San Lorenzo: Giotto; Campi Bisenzio: Uci; Chiusi: Clev Village; Cortona: Signorelli; Empoli: Excelsior; Figline Valdarno: S.A.S.; Grosseto: The Space; Livorno: Kino Dessé; Lucca: Centrale; Marina di Massa: Stella Azzurra; Montecatini Terme: Excelsior; Montevarchi: Cine8; Orbetello: Supercinema; Pietrasanta: Comunale; Pisa: Odeon; Pistoia: Lux; Prato: Omnia Center, Terminale; Poggibonsi: Italia; Scandicci: Cabiria; Sesto Fiorentino: Grotta; Siena: Odeon.
Presentato al Festival di Cannes, arriva nelle sale italiane uno dei film più attesi dell'anno, «This Must Be The Place», il primo film “americano” di Paolo Sorrentino. Per questa avventura Oltreoceano il regista napoletano ha voluto con sé uno dei più grandi e versatili attori di Hollywood, Sean Penn, che per l'occasione ha indossato parrucca e borche e ha trasfigurato il proprio volto con cerone e rossetto, per dar vita allo stralunato personaggio di Cheyenne, pigra e annoiata ex rockstar che vive con moglie e cane in un castello alle porte di Dublino. Nella prima ora del film non succede niente: Sorrentino segue questo reduce del proprio mito lungo le sue giornate vuote, in un eterno vagabondare tra pochi amici (c'è anche una giovanissima fan) e luoghi spettrali pieni di niente (dalle stanze della sua villa ai solitari fast food). Dopo averci presentato il personaggio, il regista può far partire il meccanismo narrativo: Cheyenne sarà costretto a ritornare in America per la morte di un padre dimenticato e a mettersi sulle tracce di un misterioso criminale nazista. E' da questo momento che il film si riposiziona sui canoni di genere, diventando un road-movie in cui faranno capolino una serie di personaggi e di situazioni volutamente caricate, com'è nello stile del regista.
Il film “viaggia” placidamente – con una tensione drammatica innescata solo per essere subito mortificata – attraverso lo sguardo del suo protagonista, incapace, come del resto noi spettatori, di comprendere una realtà sempre più indecifrabile. A ciò contribuisce in maniera determinante tutta l'architettura visiva del film: ogni inquadratura (che sia un primo o un campo lungo) cerca l'effetto pittorico, per rafforzare sul piano simbolico la sostanza narrativa di ogni personaggio, così come tutti i numerosi, splendidi e sontuosi movimenti di macchina sono montati per aprire uno scenario e caricare emotivamente ogni sequenza. Eppure tutto ciò, più che far schiudere il film, lo soffoca, tanto che la sensazione che si ha è quella di trovarsi di fronte a un programmatico manierismo. Sorrentino è sempre stato molto abile a mostrare la superficie delle cose, ma quasi sempre dando sostanza a personaggi che pur nella loro forzata eccentricità erano alla fine protagonisti di un'immersione critica nel reale. In «This Must Be The Place» invece il regista napoletano si ferma sempre un attimo prima, non compie mai – neanche per azzardo – un passo in più: così molte delle situazioni e dei personaggi che appaiono nel film sembrano ridondanti tappe di un viaggio fatto con poca convinzione. Che sia questo lo smarrimento che Cheyenne e noi tutti ci meritiamo? Può darsi. Ma è un peccato. Perché quando il film guarda dentro (e non solo fuori) ai fantasmi che lo abitano sa davvero emozionare.
Marco Luceri
14 ottobre 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
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