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il concerto

Mistero Jang Senato

Giovedì al Viper arriva una band rivelazione: gli Jang Senato che dopo aver vinto tanti premi, hanno dato alla luce il primo disco “Lui ama me, lei ama te”

C’è un prete in copertina, ma non si vede la testa. E sotto, scritto in piccolo, un criptico virgolettato: “Lui ama me, lei ama te”. Amano i misteri, gli Jang Senato. Brevi, concisi, serrati, ritmati, ironici, ballabili. E soprattutto intelligenti, nel senso di una musica che è commerciale e intelligente allo stesso tempo. Il 2011 sembra essere il loro anno di svolta, di “boom”. Quella che si chiama una “rivelazione”. Perché dopo aver vinto tutti i concorsi, i contest e i festival che si potevano vincere in lungo e in largo per lo Stivale – dal Tenco a Musicultura, fino all’ultimo in ordine di tempo, il Premio Buscagliene 2010, ma sono talmente tanti che non si contano – sono finalmente arrivati a dare alle stampe il disco d’esordio, uscito da solo due mesi (si intitola appunto “Lui ama me, lei ama te”). E già sono richiestissimi in tutta Italia ed elogiati (giustamente) dagli addetti ai lavori, dalle riviste, dai siti internet, per lo stile di canzone d’autore ma leggera, originale ma classica, sofisticata ma popolare.

Giovedì saranno in concerto a Firenze, la città che li ha scoperti e lanciati (attraverso l’etichetta Pippola Music, fiorentina, loro invece sono emiliani), in una serata doppia con Marco Parente. Sarebbero capaci di far ballare anche le mummie e allo stesso tempo tengono impegnate le menti, come un enigma, un sudoku musicale, i sempre più numerosi appassionati che dibattono sul significato apparentemente incomprensibile dei loro testi e sull’apparente non-sense del titolo del disco. Ma Titano Gulmanelli, cantante e autore delle liriche, risponde citando De Gregori: “Non c’è niente da capire”. Ci facciamo aiutare proprio da lui, Davide Gulamenelli ma conosciuto solo con il nome di “Titano”, a capirci di più.

Iniziamo dal nome. Perché “Titano”?
«È il nome di un barbone che viveva sui Navigli e che si dice avesse una storia d’amore con Alda Merini. Un giorno la mia ragazza iniziò a chiamarmi Titano perché sosteneva che gli assomigliassi fisicamente».
E Jang Senato, cosa significa?
«Nulla. Il gruppo nasce dalle ceneri dei Daunbailò (preso a prestito dal celebre film di Jim Jarmusch con Roberto Benigni e Tom Waits). Io facevo il pubblicitario e il nostro chitarrista era laureato in filosofia, è l’intellettuale del gruppo. Abbiamo deciso di darci un “nome” e un “cognome” che non avessero un senso in sé ma che rappresentassero l’unione delle nostre due anime: la mia, più leggera e scanzonata, rappresentata dalla parola Jang, e la sua più “impegnata” con la parola Senato. La cosa più importante da segnalare è che Jang Senato non ha alcun significato. Ma suona bene».
Sveliamo il mistero sul titolo dell’album.
«Sì, è criptico. Ma anche semplice ed è legato all’immagine del prete senza testa: “Lui ama me” significa che Dio ci ama perché ci permette di esprimerci con la musica. Non siamo neanche cattolici, anche questa è una metafora. “Lei ama te” invece significa che non riusciamo mai a tenerci stretto un amore, reale o canzone che sia, li perdiamo tutti».
Concisione e brevità, uniti a ritmo serrato, sono la cifra stilistica della band…
«Questa è l’idea. Siamo dell’opinione che una canzone che supera i tre minuti e mezzo alla fine stanca chiunque… Con l’eccezione delle canzoni di Lucio Dalla, quelle possono durare anche cinque minuti. Ci siamo dedicati quindi a un rock “sintetico”, dove ogni canzone è una piccola finestra che si apre e subito si richiude con una breve storia narrata per immagini e metafore al suo interno. Alla base c’è la canzone d’autore ma con l’idea di differenziarsi dal cantautorato tradizionale arricchendolo con una maggiore ampiezza, cura e ricerca negli arrangiamenti, con più strumenti e più colori. E con testi “leggeri” ma classici”. È un esperimento, una continua ricerca di equilibrio. Sempre però raccontando cose vere, esperienze vere, magari mistificandole un po’. E divertendoci a creare sempre un contrasto tra testi molto tristi e arrangiamenti allegri».
La svolta arriva con la pubblicazione della canzone “La bomba nucleare” nella super-compilation di Premio Tenco e Mei “La Leva Cantautorale degli anni Zero”. Da lì tutto in discesa…
«Ci siamo arrivati tramite le selezioni del Premio Tenco. La nostra fortuna è stata il colpo di fulmine del direttore artistico Enrico Deregibus nei nostri confronti… Forse gli ricordiamo certe derive alla De Gregori che a lui piacciono tanto. Ed eccoci qua».
Poi arriva il singolo, “Respirare”.
«Anche quello è una serie di immagini e metafore. Ma, come diceva De Gregori, “non c’è niente da capire” neanche questa volta. O meglio, per me un senso ce l’ha: ho scritto quella canzone in seguito a una delusione d’amore. Ma a pensarci bene tutte le canzoni parlano di amori infelici, perché riesco a scrivere solo quando sono disinnamorato, è l’unico aspetto positivo del perdere un amore. Però poi ho scoperto che qualcun altro ha letto questa canzone come un amore che comincia. E adesso sono io che non ci capisco più niente».

Edoardo Semmola
19 aprile 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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