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amarcord a prato

Una messa beat, come nel '69

Il 26 gennaio 1969 Prato ospitò la prima messa beat Domenica si replica: «Un omaggio a quell'impresa»

PRATO — Sulle panche neanche un posto libero. Fuori la folla strizzata nella calca dei cappotti di lana si difende dal freddo e sgomita. Giovani arrivati da tutta Italia. Chi allunga il collo, chi protende l'orecchio: c'è la messa beat. È il 26 gennaio 1969 e nella chiesa di Santa Maria di Cafaggio, nella Prato che sta per conoscere il suo boom industriale, comincia la celebrazione di una funzione che passerà alla storia. Chitarre elettriche, batteria e amplificatori sono incastonati tra l'altare e i busti dei Santi. Una cosa mai vista prima. Non è passata che qualche settimana dal giorno in cui cinque operai pratesi appena maggiorenni — Marco Becagli, Andrea Spagnesi, Roberto Bettazzi, Giuseppe Campanale e Riccardo Petrelli — si sono messi in testa che la musica può cambiare molte cose. «Quella» musica, però, non è mai entrata prima nella casa del Signore: una minaccia per alcuni, un'opportunità per altri. I ragazzi sono preoccupati. Sino all'ultimo minuto la loro iniziativa rivoluzionaria può infrangere su uno stop improvviso, su un permesso negato in extremis. E invece il vescovo di Prato Pietro Fiordelli stupisce tutti, cede alle insistenze di padre Sergio Pieri e asseconda il suo tentativo di avvicinare così la Chiesa ai giovani.

Missione compiuta, verrebbe da dire oggi guardando le immagini dell'Istituto Luce. Gli operai che hanno portato il jazz e il rock sul palco sacro (per davvero) della chiesa di Cafaggio oggi tornano a celebrare quel sogno avverato. Una significativa quantità di capelli (perduti) sono il giusto dazio da rendere agli oltre quarant'anni spesi nel ricordo di quella piccola grande impresa. Ma l'amore per la musica no, quello è rimasto inalterato nonostante in molti abbiano già raggiunto l'età della pensione.

Domenica le sonorità della messa beat verranno riproposte nella funzione che si svolgerà nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Tavola (frazione di Prato), naturalmente con gli stessi musicisti e gli stessi strumenti di quel 26 gennaio del '69. «Non potevamo credere che davvero sarebbe successo — spiega il chitarrista Roberto Bettazzi — perché sino ad allora le canzoni a sfondo religioso con sonorità beat erano state suonate al massimo negli oratori e mai nei luoghi sacri». I cinque musicisti rimasero con il fiato sospeso fino all'ultimo. «A un certo punto, il giorno prima della fatidica funzione, la notizia si sparse. La chiesa — spiega ancora il chitarrista — organizzò una messa speciale, un rito di prova fissato per il sabato sera. Era una cosa anomala perché le funzioni prefestive non esistevano: il segretario del vescovo venne a controllare, ma non disse una parola».

La mattina dopo, la vera sorpresa. «Quando siamo arrivati in chiesa c'era una folla di gente incredibile, le strade di Cafaggio erano tutte intasate, non si capiva nulla. Solo dopo abbiamo saputo che tramite un'agenzia Ansa battuta il giorno prima, la notizia si era sparsa ovunque». Gli occhi delle telecamere e degli obiettivi si confondevano con quelli entusiasti dei giovani arrivati persino da Roma. In disparte, quelli degli anziani condannavano il vento di un cambiamento oramai irreversibile. La funzione divenne una sorta di concerto e quei cinque giovani si trasformarono le star di una conciliazione fra due mondi che tentavano di riavvicinarsi.

Giorgio Bernardini
02 settembre 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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