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il film della settimana

L'altra verità

Il ritorno di un cineasta «di classe» come Ken Loach non passa mai inosservato, ma il campione del cinema stavolta ha giocato la sua partita, in parte, fuori casa

Regia: Ken Loach; Interpreti: Mark Womack, Andrea Lowe, John Bishop, Geoff Bell; Sceneggiatura: Paul Laverty; Fotografia: Chris Menges; Musica: George Fenton; Montaggio: Jonathan Morris; Scenografia: Fergus Clegg; Costumi: Sarah Ryan; Produzione: Sexteen Films; Distribuzione: Bim; Gran Bretagna/Francia/Belgio/Italia/Spagna, 2011, 109'.

In Toscana è in queste sale: Firenze: Astra 2; Arezzo: Eden; Campi Bisenzio (FI): Uci Cinemas; Grosseto: Nuovo Stella; Livorno: Kino Dessé; Lucca: Italia; Prato: Terminale; Orbetello (GR): Supercinema; Siena: Nuovo Pendola.

Il ritorno di un cineasta «di classe» come Ken Loach non passa mai inosservato, anche se il campione del cinema di denuncia sociale stavolta ha giocato la sua partita in parte fuori casa (come aveva fatto nel 1996 con il precedente La canzone di Carla): Frankie e Fergus sono amici da una vita e sin dal loro primo giorno di scuola, e per i successivi vent'anni hanno condiviso gioie e dolori. Decisi a dare una svolta economica alle loro esistenze, nel 2004 i due vanno a lavorare come contractors (guardie di sicurezza di appaltatori inglesi) in Iraq. Quando uno dei due muore lungo la Route Irish (una pericolosissima strada a sud di Baghdad, lunga circa 12 km, che porta dalla Green Zone al centro della città) l'altro, invece di ricorrere alla giustizia ufficiale, decide di condurre da solo le indagini per capire i reali motivi che hanno provocato la morte dell'amico. Nella sua difficile ricerca il prode Fergus sarà affiancato dalla ragazza dell'amico trucidato, la bella Rachel.

Tra le scelte che gli si sono poste davanti, Loach decide di seguire l'ardua strada del genere, privo – per fortuna – di quel furore ideologico che spesso offusca i risultati di certo cinema contemporaneo che volge lo sguardo alle zone più travagliate del mondo per parlare non dei conflitti in atto, ma di se stesso. Incorniciando la storia di questa ricerca nella cornice non troppo stringente del thriller di guerra (militari corrotti, violenze nascoste, prove occultate, rappresaglie, paranoia quotidiana ecc.), il regista inglese non arretra di un millimetro rispetto all'indignazione morale e alla rabbia contro il Potere che contraddistingue la sua filmografia. La ricerca della verità da parte di Fergus e Rachel diventa uno strumento per scandagliare un mondo di gente che «nonostante tutto la fa' sempre franca» e attraverso di esso svelare quei meccanismi perversi (mossi da mere ragioni economiche) che stanno dietro alle innumerevoli menzogne coperte dalla parola “guerra”.

Per far questo Loach decide di puntare sulla fisicità ferina dei suoi attori, sull'anonimo grigiore delle città inglesi, su una fotografia ruvida, fatta di pochi contrasti, e su un uso originale delle ellissi. Alla fine, la scoperta della verità non toglierà di mezzo il senso di impotenza che i protagonisti hanno di fronte al mondo e il gesto finale di Fergus, che chiude il film dopo un momento di falsa catarsi (in cui i veri colpevoli dell'omicidio vengono puniti), non ha nulla di riconciliante. La verità, da sola, spesso non basta a esorcizzare i fantasmi. Anzi.

Marco Luceri
23 aprile 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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