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IL FILM DELLA SETTIMANA

Miracolo a Le Havre

Di pellicole così, capaci di tenere insieme la gioia e la disperazione, la leggerezza e lo sconforto, la durezza e la poesia, se ne possono contare sempre di meno

Regia: Aki Kaurismaki; Interpreti: André Wilms, Blondin Miguel, Jean-Pierre Darroussin; Sceneggiatura: Aki Kaurismaki; Fotografia: Timo Salminen; Montaggio: Timo Linnasalo; Scenografia: Wouter Zoon; Costumi: Frédéric Cambier; Produzione: Sputnik, Pyramide, Pandora, Arté; Distribuzione: Bim. Finlandia/Francia/Germania, 2011, 93'

In Toscana è in queste sale: Firenze: Flora, Principe; Campi Bisenzio: Uci; Empoli: Excelsior; Livorno: Kino Dessé; Pisa: Odeon; Prato: Terminale.

All'ultimo Festival di Cannes si è giocato fino all'ultimo la Palma d'Oro con «The Tree of Life» di Terrence Malick. E anche se il premio più prestigioso del mondo alla fine è finito tra le mani del regista americano, «Miracolo a Le Havre» di Aki Kaurismaki resterà stampato nella nostra memoria di spettatori ancora per tantissimo tempo, perché di film così, capaci di tenere insieme la gioia e la disperazione, la leggerezza e lo sconforto, la durezza e la poesia, se ne possono contare sempre di meno. Forse perché il cinema contemporaneo, ossessionato dal citazionismo (finto)cinefilo, dalla rutilante velocità dei suoi effetti spettacolari, dalle fantasmagiorie offerte su un piatto d'argento dal digitale, ci sta facendo dimenticare quanta semplice bellezza si possa cogliere di un angolo di strada, in uno sguardo che cerca comprensione e aiuto, in un paesaggio notturno, in una vecchia nave piena di ruggine e salmastro.

E invece, Kaurismaki, tra gli ultimi alfieri di un cinema che rifiuta programmaticamente la modernità, ci consegna nel suo ultimo film l'essenza di un racconto per immagini che pareva smarrita, seguendo la storia di un ex scrittore che fa il lustrascarpe e che nel giro di un paio di giorni si ritrova con la moglie malata terminale in ospedale e con un giovanissimo clandestino da nascondere tra le mura di casa. E se non fosse per la complicità degli abitanti del quartiere, la fornaia, l'ortolano, la barista e per la benevolenza di un vecchio ispettore capace per una volta di contravvenire al suo dovere, tutto sarebbe andato in fumo. Il regista finlandese ha pensato di ambientare il suo ultimo film a Le Havre. Non una scelta casuale, perché la città portuale della Normandia non fa solo da scenario a uno dei capolavori della storia del cinema francese, «Il porto delle nebbie» (1938) di Marcel Carné, con gli splendidi Jean Gabin e Michèle Morgan modello a cui il regista finlandese sembra guardare, ma è anche il microcosmo più adatto per dipingere il ritratto di un piccolo mondo antico che non si rassegna a scomparire tra le “brumes” dell'egoismo e della legge che taglia sempre fuori gli ultimi.

E' così che i destini degli uomini si incrociano melanconicamente tra un giro di calvados e un nascondiglio fortuito tra le baguettes appena sfornate, tra una fumata di sigaretta e un vecchio vinile, tra un'insegna luminosa e la voglia di fare ancora qualcosa di eclatante in una vita che scorre lenta e senza scossoni. Per un film che sarebbe piaciuto a Cesare Zavattini per l'ottimismo del finale, Kaurismaki sceglie i colori tenui, il ritmo lento, le inquadrature fisse, l'espressività caduca dei volti, ma soprattutto un'umanità ritrovata, scevra dai meccanismi mielosi del dramma sociale, lontanissima dai toni predicatori del cinema di denuncia, per aprirci uno squarcio di verità, realista e intimo, capace di essere moralista senza neanche alzare mai una voce. Una lezione di cinema, davvero, tanto bella forse proprio perché così inusuale e fuori tempo.

Marco Luceri
25 novembre 2011(ultima modifica: 26 novembre 2011)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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