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Il «Faust» di Sokurov

Arriva nei cinema in città il film Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia. La celebre tragedia adattata per il grande schermo

Regia: Aleksandr Sokurov; Interpreti: Johannes Zeiler, Anton Adasinsky, Isolda Dychauk; Sceneggiatura: Aleksandr Sokurov, Marina Koreneva; Musiche: Andrey Sigle; Fotografia: Bruno Delbonnel; Montaggio: Jörg Hauschild; Scenografia: Yelena Zhukova; Costumi: Lidia Krukova; Produzione: Proline Film; Distribuzione: Archibald Films. Russia, 134', 2011

In Toscana è in queste sale: Firenze: Portico.

Arriva anche a Firenze (ed è una fortuna, visto il numero risicatissimo di copie con cui è uscita in Italia) la pellicola che ha vinto il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, il sublime «Faust» del grande maestro russo Aleksandr Sokurov, adattamento per il grande schermo della celebre tragedia di Goethe.

Un film complesso e affascinante, probabilmente il più importante di questo 2011, che ci consegna un ritratto inedito e originale di un mito della civiltà occidentale, quello del libero pensatore, cospiratore, sognatore, mosso da un'illimitata sete di conoscenza e guidato da istinti semplici come fame, avidità, lussuria, ma sempre alla ricerca di quell'infinito attimo in cui poter vivere di bellezza assoluta. Quella raccontata da Sokurov è una creatura infelice ed indomita, capace di lanciare una sfida al modello letterario di Goethe, di cui ha spostato innanzitutto l'asse narrativo: se nella tragedia è Margherita ad avere un ruolo centrale, nel film la bella fanciulla viene «relegata» in secondo piano, e diventa solo una fugace, intensissima, straordinaria immagine (al ralenti); l'oggetto di una soggettiva onirica, nonché l'unico istante in cui il film si prende una pausa rispetto al suo ritmo rutilante. Concentrando tutta l'attenzione su Faust (anche il mostruoso Mefistofele, parodiato nell'aspetto e nell'intelletto, diventa quasi una figura irrilevante), il regista russo ci restituisce anche dal punto di vista formale quel continuo senso di insoddisfazione che spinge il protagonista alla ricerca perenne.

Le sequenze sono montate in modo che lo spettatore non abbia un attimo di respiro, ma si sposti continuamente da un luogo all'altro, da una situazione a quella successiva, a volte così velocemente che si prova un certo senso di disorientamento, accentuato poi da inquadrature spesso “sature” e da un pittoricismo “sporco”. E' così che Sokurov ci immerge in una realtà pre-moderna, dagli echi medievali, proprio quel mondo da cui Faust, l'Ulisse moderno, sente il dovere di fuggire, per cercare le risposte ai grandi quesiti dell'esistenza in un altrove che necessariamente si offre al di là del tempo e dello spazio: non c'è mai un presente nel film, perché esso si brucia subito, come non esiste un concetto di salvezza, perché tutta l'umanità è ritratta come avida, sporca, volgare. Lo sguardo di Faust, titanico simbolo dell'attivismo smanioso e della coscienza autodistruttiva dell'uomo moderno, arriva a riplasmare il mondo stesso (come avviene a più riprese, nel film, grazie all'uso della soggettiva deformante, in cui le immagini diventano sghembe e distorte) a certificare anche l'impotenza del cinema e della sua forza rappresentativa di fronte al tormento inafferabile della conoscenza.

Marco Luceri
31 ottobre 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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