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LO SPETTACOLO

Orlando «capocomico» sul palco
nelle vesti del nipote di Rameau

L'attore passa dal grande schermo a regista. Il suo spettacolo sarà l'8 dicembre al Teatro Poliziano Montepulciano

I piccoli teatri della Toscana hanno fatto innamorare Silvio Orlando. Attore di palcoscenico, così come del grande schermo, da poco è anche nelle vesti di regista per «Il nipote di Rameau» di Denis Diderot, di cui ha riadattato i testi insieme ad Edoardo Erba. E’ approdato al Piccolo Eliseo Patroni Griffi di Roma dopo un lungo giro nelle realtà toscane, lontane dalle grandi strutture del capoluogo. E lì ritornerà - Teatro Poliziano Montepulciano 8 dicembre – visto il successo dell’avventura autunnale: «Si pensa sempre ai grandi spettacoli, ed è giusto che quelli vengano messi in scena nei grandi centri come Roma, Milano e Firenze. Accanto a questo genere di produzioni però, ce ne sono altre, più agili, che stanno benissimo in contesti più raccolti».

Questo l’effetto che hanno prodotto sulla compagnia Teatro dei Concordi, Giotto, il Pacini e il Verdi: «Tutti posti deliziosi, con un pubblico attentissimo e partecipe – ha tenuto a precisare – esperienze splendide a Campiglia Marittima, Vicchio, Pescia e Santa Croce sull’Arno». Un apprezzamento ancor più sentito se si considera che in questo spettacolo, per Orlando, non è uno dei tanti: «Visto anche il ruolo di produttore (con la Cardellino srl, ndr), quindi dopo anni in cui mi hanno dato del "primo attore", posso finalmente definirmi "capocomico"».

Un mestiere non facile, anche se ci si presenta con un nome più che noto: «Gli ostacoli, specie burocratici, sono molti. Ma di questo se ne occupa mia moglie!» scherza. Lui, sul palco, è proprio il nipote di Rameau, «un musicista fallito e frustrato che si è rincattucciato in un locale in attesa di mettere insieme il pranzo con la cena». Un uomo che guarda in faccia gli onesti, e in tutta onestà, gli dice di non esserlo. «E’ una meravigliosa satira del Settecento – racconta Orlando - l’epoca in cui gli intellettuali hanno cominciato a chiedersi se quello in cui vivevano fosse il migliore dei mondi possibili». E soprattutto, a domandarsi come avrebbero dovuto gestire il rapporto con il potere.

Di questo il povero Rameau, il più onesto tra i disonesti, parla per un’ora e un quarto con il filosofo Diderot (l’elegante Amerigo Fontani) tra una scenetta e l’altra della sua goffa quanto disarmante verità. «Come può un intellettuale trovare le gambe per lottare, se queste appartengono proprio a chi si vuole combattere? E’ un problema che ci si pone di continuo: la fronda di autori Einaudi con Berlusconi ne è stato un esempio. Nel nostro ambiente per lungo tempo si è pensato che la libertà fosse Sky…». D’altronde, continua Orlando «il potere vuole degli intellettuali da usare come foglie di fico per coprire le proprie vergogne. Bisognerebbe che l’intellettuale, più che di fico, fosse foglia d’ortica…». E così, nel 2011 come allora, ci sono i nipoti di Rameau che cercano disperatamente un padrone a cui vendersi, uno uguale a quello che si è perso per «un solo attimo di buon senso in tutta la vita». E poi ci sono i Diderot, che passano il loro tempo a trovare un modo per evitare di darsi via al miglior offerente. Convinti che la conoscenza e la rettitudine siano sempre dei premi. Almeno fin quando qualche ‘cortigiano’ vispo non insinua nelle loro teste qualche dubbio. Perché la virtù, come recita il protagonista sul palco «la si loda, ma si odia. La si fugge: perché la virtù, a nominarla, raggela».

Diletta Parlangeli
05 dicembre 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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