FESTIVAL DEI POPOLI

Anton Corbjin, il fotografo nell'obiettivo

La kermesse si apre con Inside Out, film documento sul lavoro del celebre ritrattista olandese dei giganti del rock

FESTIVAL DEI POPOLI

Anton Corbjin, il fotografo nell'obiettivo

La kermesse si apre con Inside Out, film documento sul lavoro del celebre ritrattista olandese dei giganti del rock

Per l'apertura di quest'anno (sabato 10 novembre, 21.30 al cinema Odeon) il Festival dei Popoli ha scelto di puntare sul bel ritratto che la regista Klaartje Quirijns ha realizzato su uno dei fotografi più celebri del mondo, Anton Corbijn. I più cinefili ricorderanno un suo straordinario film di qualche anno fa, ammantato in uno straniante bianco e nero, «Control», biopic dedicato alla leggenda di Jan Curtis, leader dei Joy Division, una pellicola che ha dimostrato al mondo intero la forza del legame espressivo tra Corbijn e la musica rock, ben al di là del suo lavoro di “ritrattista” ufficiale di giganti assoluti quali U2, Rolling Stones, R.E.M., Depeche Mode, Tom Waits, Nick Cave, Bryan Ferry, e di regista di videoclip per Nirvana e Red Hot Chili Peppers.

Il documentario ci conduce alla scoperta di un uomo e di un artista che vive la propria esistenza come una continua negoziazione tra l'immagine pubblica di un fotografo di successo e la sostanza intima di un uomo schivo e riservato, che ha sempre vissuto con difficoltà le luci dei riflettori e il grande successo commerciale del proprio lavoro, non sempre coinciso con un pieno autoriconoscimento artistico. Tuttavia, nonostante il documentario si concentri molto su questo dissidio apparentemente insanabile, la forza espressiva delle immagini di Corbijn non viene per nulla scalfita dall'attenta illustrazione del suo metodo di lavoro. Anzi. Il fotografo olandese occupa un posto di primo piano nella produzione di immagini contemporanee perché è riuscito a comunicare attraverso la ritrattistica l'idea di una continuità nel divismo delle rock star, assicurando loro una vita mediatica che sapesse cogliere lo scorrere del tempo, ma sempre all'interno di una figuratività intima e per nulla banale.

Basti pensare alle immagini di Tom Waits, del suo volto sempre più attraversato dalle rughe, e del suo sguardo interrogativo e malinconico, che fa pendant con il suo stile musicale. Oppure alla capacità dimostrata da Corbijn di assecondare i mutevoli cambiamenti che grandi gruppi come gli U2 hanno attraversato durante la loro lunga carriera, con immagini che hanno sintetizzato visivamente la portata di questi passaggi: dall'ascetismo messianico di «The Joshua Tree» al romanticismo decadente di «Achtung Baby», fino all'ecumenismo globalizzato degli ultimi album. Il documentario restituisce in pieno tutto questo, nonché la bravura del fotografo olandese nel veleggiare sicuro lungo l'orizzonte di un mondo in cui arte, media e business sono sempre più intrecciati.

Marco Luceri10 novembre 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

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