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L'insostenibile leggerezza di Malika

Il suo ultimo album che porterà live al Teatro Verdi mercoledì, è un sunto di tre cose: cura dei dettagli, originalità e poi, appunto, spensieratezza quanto basta

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L'insostenibile leggerezza di Malika

Il suo ultimo album che porterà live al Teatro Verdi mercoledì, è un sunto di tre cose: cura dei dettagli, originalità e poi, appunto, spensieratezza quanto basta

Malika Ayane conosce con esattezza qual è il grado di leggerezza necessario per rendere le cose davvero serie. Il suo ultimo “Ricreazione” (Sugar Music), che porterà live al Teatro Verdi mercoledì 14 novembre, è un sunto preciso dell’approccio alla musica di quella che è una delle più notevoli interpreti femminili del panorama italiano: cura dei dettagli, originalità e poi, appunto, spensieratezza quanto basta. L’album, il terzo di inediti, è anche il primo del quale ha curato la produzione artistica. Un percorso quasi inevitabile, spiega: «Quando ho raccolto i brani mi sono accorta che il disco aveva già un'identità abbastanza precisa. Non ho cercato un produttore perché sapevo che il pericolo sarebbe stato realizzare qualcosa di bello magari, ma meno personale. Un po’ come un vestito splendido nel quale non ti senti a tuo agio: lo compri, e lo metti pure, ma poi ti sembra di aver truffato te stessa e gli altri».

Il risultato è una raffinatezza inusuale, immersa fino al collo nel discorso sull’amore e le sue fasi (con predilezione per quelle passionali, nel bene e nel male): «L’amore è così, e se ne parla dall’avanti Cristo in poi! Non volevo fornire dei ragionamenti assolutisti, ma piuttosto dare voce a monologhi interiori che descrivessero dei sentimenti precisi, come in una sorta di evoluzione». Un ampio ventaglio di situazioni in cui chi ascolta si identifica a piacimento, o suo malgrado. «Ho notato che chi è follemente innamorato preferisce certi brani, chi non lo è, altri – spiega - Dall'acquisto dei singoli per esempio ho capito che vanno forte i brani da "ceffoni" e psicodrammi, come "Grovigli" e "Neve casomai" (scritta a quattro mani con Pacifico, ndr)». Come a dire che la lacrima, alla fine della fiera, premia sempre. Non tragga in inganno invece la questione dei singoli in digitale: «Il mercato dell'album è più forte che mai. Certo, bisognerebbe rivedere qualche condizione commerciale, trovare nuove idee, come fanno Oltreoceano, ma funziona ancora». I suoi di dischi, nello specifico, piacciono da sempre anche alla critica, che pure in questa occasione ha alzato il suo pollice verso l’alto: «Sono contentissima di come è stato accolto il disco, così tanto che nelle ultime notti non ho neanche dormito! Vedo che sono state percepite tutte le cose che desideravo trasparissero, comprese le ingenuità». E’ così che Malika definisce “le cose fatte con più leggerezza”: «Mi sono accorta che sono le migliori, anche in termini di impatto verso l’esterno. Alle volte l'ansia di sbagliare frena».

Non concorda per niente invece, sul fatto che il singolo di lancio, “Tre cose” (scritto da Alssandro Raina, Amor Fou), si discosti dalle altre canzoni: «Credo che sia molto coerente col resto, e che tutto sia stato messo nel giusto ordine. Gli strumenti sono gli stessi che si ripresentano nel brano successivo, e che si ritrovavano anche in "Glamour" (testo e musica di Paolo Conte, ndr) nel mio arrangiamento originario, prima che venisse aggiunta la parte elettronica». Un fil rouge più facilmente rintracciabile a livello di contenuti. Non è un caso, spiega, che la stessa “Tre cose” venga subito prima de “Il tempo non inganna” e che “The Mors are meeker than they were” (musica inedita di Sergio Endrigo), sia il sesto dei dodici brani, a separare un primo tempo del disco, dal secondo. Le canzoni, essendo state registrate in presa diretta, sono state pensate per la dimensione live, che vedrà sul palco oltre alla sezione ritmica consueta, un trio d’archi e tre fiati. «Anche "Ricomincio da qui" che è del disco precedente, ha un'ottima resa in questa formazione», confessa. E a proposito di quel brano, che le valse il Premio Critica a Sanremo 2010, scatta inevitabile la menzione al compagno artistico Gino De Crescenzo (Pacifico), uno dei migliori autori italiani, che la firmò: «Cosa dire, non posso fare a meno di lui! E’ la mia parte sana nella scrittura. Io sono splatter, e lui riesce ad essere delicato anche nel dire "carogna". È il Kofi Annan dei testi!». Che poi, non che lei a sola se la cavi male. Quando le si chiede quale passione strana la leghi alla parola “Grovigli” -già titolo del secondo album e ora del brano di apertura del disco di cui ha firmato testo e musica - risponde: «La verità è che “Grovigli”, la canzone, era gia pronta nell'album precedente, ma ero spaventatissima. Per questo la tolsi lasciando il titolo dell'album». A volte, l’ansia di sbagliare, frena.

Diletta Parlangeli12 novembre 2012 (modifica il 13 novembre 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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