FESTIVAL DEI POPOLI

Filmare e raccontare il tempo che passa

«The End of Time» di Peter Mettler all'Odeon. Un giro del mondo alla ricerca, in chiave scientifica, della percezione dello scorrere dei giorni. Dal Cern alle Hawaii

FESTIVAL DEI POPOLI

Filmare e raccontare il tempo che passa

«The End of Time» di Peter Mettler all'Odeon. Un giro del mondo alla ricerca, in chiave scientifica, della percezione dello scorrere dei giorni. Dal Cern alle Hawaii

«Volevo cercare di capire da dove vengono le nuvole, dove vanno e cosa ci sta in mezzo. Doveva essere una sorta di studio meteorologico, che strada facendo è diventato una ricerca sulla nozione di cambiamento e di tempo. Perché il tempo è cambiamento». Peter Mettler non rinuncia alla sua idea di un cinema in continua gestazione e parla così del suo ultimo documentario, «The End of Time», in programma stasera (ore 20.30 al cinema Odeon) per la quarta giornata del Festival dei Popoli.

UN'INDAGINE SULL'INVISIBILE Il regista canadese ha fatto une vera e propria indagine scientifica sull'invisibile, una libera esplorazione fatta di immagini e parole sulla percezione del tempo, in un viaggio intorno al mondo, come a ribadire lo stretto legame che lega il tempo ai luoghi del reale. Dal CERN di Ginevra, dove si trova l’acceleratore di particelle, all'arcipelago della Hawaii, dove i flussi lavici hanno semidistrutto la Grande Isola risparmiando, temporaneamente, solo un’abitazione; dal centro storico di Detroit ormai abbandonato, a un rito funebre indù: durante questa sorta di Grand Tour intorno al globo, la «ricerca del tempo» viene declinata in tutte le accezioni possibili, finanche in quella linguistica (in molte lingue la parola ha anche un significato meteorologico, e a volte l’unico vero riferimento per la sua misura è la natura). Peter Mettler esplora così la nostra concezione del tempo, sognando il film del futuro mentre ci immerge nel miracolo del quotidiano, avvicinandosi in questo allo stile di giganti del cinema come Terrence Malick, Werner Herzog o Chris Marker.

IL REGISTA RACCONTA «Questo è stato forse il film più difficile della mia carriera – ha detto Mettler – forse perché è anche il più personale: non solo perché mia madre ha anche una parte, ma perché con il passare degli anni divento sempre più vecchio e vivo un diverso rapporto con i concetti di fine e di mortalità. Inoltre il tempo è anche una forma culturale, che cambia quando ti sposti da un continente all'altro, da una civiltà ad un'altra. E' per questo che mi sono sforzato di restituire nel documentario questa grande pluralità di punti di vista. Ma il tempo è anche qualcosa di strettamente legato all'arte cinematografica: ogni film ha una sua specifica durata, grazie al montaggio il tempo viene «ricreato»; in più ogni immagine catturata nel presente, vista nel futuro diventa testimonianza di un passato. Quando giro ho la sensazione di riprendere un momento del presente, ma appena questo attimo è finito, esso appartiene già al passato. La consapevolezza di questo paradosso ha cambiato interamente il mio sguardo sul presente». Un bel rompicapo, insomma, il tempo, su cui l'umanità non smetterà mai di arrovellarsi. Del resto scriveva Sant'Agostino nelle «Confessiones» (era V secolo d.C.): «Io so che cos'è il tempo. Finché nessuno me lo chiede. Se dovessi spiegarlo a qualcuno, non saprei come fare».

Marco Luceri13 novembre 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

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