il film della settimana

Pietà

La storia gira tutta intorno ai motivi della vendetta e del denaro e vede come protagonisti due personaggi estremi, che si muovono tra i bassifondi di Seoul

il film della settimana

Pietà

La storia gira tutta intorno ai motivi della vendetta e del denaro e vede come protagonisti due personaggi estremi, che si muovono tra i bassifondi di Seoul

Regia: Kim Ki-duk; Interpreti: Cho Min-soo, Lee Jung-jin; Sceneggiatura: Kim Ki-duk; Fotografia: Jo Yeong-jik; Musiche: Park In-young; Montaggio: Kim Ki-duk; Scenografia: Lee Hyun-joo; Costumi: Ji Ji-yeon. Produzione: Kim Ki-duk Film Production; Distribuzione: Good Films. Corea del Sud, 2012, 104'

In Toscana è in queste sale: Firenze: Colonna; Livorno: Grande; Pisa: Lanteri.

Il ritorno del più grande maestro del cinema coreano contemporaneo, Kim Ki-duk, alla ribalta internazionale è stata una buona notizia. La vittoria del Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia rappresenta in maniera indiscutibile un riconoscimento importantissimo per un cineasta che in molti (e non a torto) avevano ormai considerato nella fase declinante della propria carriera. Se si esclude lo straordinario ed estremo autoritratto di «Arirang» (presentato al Festival di Cannes nel 2011, mai uscito in Italia, ma passato qualche mese fa al Korea Film Festival di Firenze) erano ormai molti anni che Kim non incantava più gli appassionati, come aveva fatto con i suoi capolavori, dall'esordio di «Crocodile» a «Bad Guy», da «L'isola» a «Primavera, estate...» da «La Samaritana» a «Ferro3». Con il suo ultimo «Pietà», il regista coreano ha fatto solo un mezzo passo avanti, consegnandoci un film importante, duro, controverso, ma privo in gran parte di quell'originale guizzo creativo che aveva contraddistinto le sue opere migliori.

La storia gira tutta intorno ai motivi della vendetta e del denaro (temi ampiamente presenti nel cinema coreano dell'ultimo quindicennio) e vede come protagonisti due personaggi estremi, che si muovono tra i bassifondi di Seoul: un giovane strozzino, solitario e violento, crudele e ottuso, dedito spesso alla tortura nei confronti dei suoi creditori, e una madre venuta da lontano, pronta a sacrificarsi e a umiliarsi pur di riconquistare l'affetto del figlio abbandonato molti anni prima. I due all'inizio vivono una convivenza forzata e problematica, poi pian piano il loro rapporto si “scioglie”, fino al colpo di scena finale, in un crescendo di disperazione e mistero molto coinvolgente. Tuttavia si ha l'impressione che proprio la ricercata “monumentalità” di questi due personaggi finisca per soffocare lo sviluppo drammatico e la coerenza narrativa della vicenda (madre e figlio non comunicano sul loro passato, come invece ci si aspetterebbe), che punta più a sorprendere (attraverso un accumulo di scene madri), che a mostrare. Sta qui, a nostro parere, il lato debole del film, il cui impianto figurativo non è supportato da quella riconosciuta capacità di Kim di lavorare sugli aspetti simbolici delle immagini e sul montaggio, tanto che da «Pietà» a volte traspare una certa, gratuita leziosità. Ne deriva un film non così diverso da tanta produzione coreana di questi anni, un'opera dalla forza espressiva non del tutto sviluppata, salvato probabilmente anche da una non dissimulata dose di ironia.

Marco Luceri15 settembre 2012 (modifica il 16 settembre 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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