festival dei popoli
Obama, coast to coast
All’Odeon «Portland 2 Portland» il documentario americano di Beppe Severgnini
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Obama, coast to coast
All’Odeon «Portland 2 Portland» il documentario americano di Beppe Severgnini
«Nessuno può dire di non essere mai stato in Usa. I film di Hollywood, la musica, la politica, persino i prodotti commerciali, fanno parte del nostro vissuto». Eppure c’è ancora tanto da scoprire dei 51 Stati che, uniti, fanno l’«America». E persino Beppe Severgnini, giornalista e scrittore che frequenta e vive quella nazione da oltre vent’anni, ha scoperto qualcosa di nuovo nel suo viaggio «coast to coast». Un viaggio che, dopo le trasmissioni su La 7, il videoblog su Corriere Tv, gli articoli sul Corriere della Sera e su Sette, è diventato un documentario che verrà presentato oggi al Festival dei Popoli. Portlant 2 Portland, questo il titolo del lavoro la cui prima europea si terrà alle 16.30 al cinema Odeon, dopo la presentazione da parte dello stesso Severgnini. Dalla Portland del Maine a quella dell’Oregon, dall’Atlantico al Pacifico.
Ma lo scopo del viaggio è il viaggio stesso. E le scoperte, anche per uno «esperto» come Severgnini, arrivano quando meno te le aspetti. «Arrivati a Malta, in Montana, ci siamo domandati come mai avessero scelto questo nome». La risposta è geniale: «Quando arrivò la ferrovia lì, presero un mappamondo, lo fecero girare, puntarono un dito: cadde proprio sull’Isola del Mediterraneo». Ecco, quante volte devono aver fatto girare il dito (o scelto altri metodi «random»), visto che di altre Malta ce ne sono 4, tra Ohio e Texas, negli Usa. Ecco la «Serendipity», la possibilità di scoprire qualcosa mentre cercavi altro, un termine che in italiano non ha traduzione. Eppure, l’autore del libro Italiani in America, «la cui versione in inglese resta un best seller anche da loro, e soprattutto è ancora nelle librerie», ha provato a tradurre, senza tradire, gli Usa anche in questo documentario. Assieme al collega Karl Hoffman, corrispondente in Italia della tv tedesca Ard, Severgnini ha scelto di visitare, arrivando in treno (quelli da lunghi viaggi, gli Amtrak) 22 Stati, per raccontare come gli Usa si preparavano alle elezioni presidenziali. Lo ha fatto toccando città simbolo come New York o Chicago e territori spesso sconosciuti. «Vede — racconta Severgnini — durante la sera elettorale, mentre tutti i giornalisti italiani parlavano dello Stato chiave per il risultato, l’Ohio, io avrei provato a fargli fare la ‘‘prova Ohio’’: dimmi dove è, senza confonderla con Kentucky, Virginia Occidentale, Ontario, su una cartina muta». E chi non rispondeva correttamente, forse faceva meglio a parlare d’altro. Nei 6 mila km percorsi sui binari, nelle strade, nelle città, nelle campagne e sulle montagne, c’è sempre da scoprire qualcosa di nuovo ma anche accorgersi di quanto sia pervaso il nostro immaginario di quei panorami, di quelle situazioni.
«Abbiamo raccontato l’atmosfera. Abbiamo toccato la mia città preferita, l’America senza aggettivi, la città dei Blues Brothers», una colonna sonora dolce e trascinante come sa esserlo solo Sweet home Chicago. Solo una delle tante suggestioni cinematografiche: «In Nord Dakota, a Fargo, sembrava di essere in un film dei fratelli Cohen, in Montana pareva di vedere gli scenari di Wim Wenders, a Washington di trovarsi dentro Twin Peaks di David Lynch». Eppoi ci sono le città scelte perché i nomi incuriosivano, «come Rugby». Ma il documentario nasce dai racconti raccolti. «E forse è questa la novità maggiore che abbiamo trovato — spiega ancora Severgnini — un’America diversa dal 2001. Dopo quella data, gli Usa hanno cambiato umore, hanno subito un trauma intimo, vedevano le novità come un sospetto, noi non riusciamo a percepire il dramma dell’11 settembre». Invece, 11 anni dopo, «la cosa più deliziosa è stata la disponibilità degli americani» a parlare, a rispondere, a raccontarsi. Non scontata, tanto che la Amtrak ha fatto molte storie per intervistare i passeggeri. E invece è stato facile, «grazie anche al lavoro e alla collaborazione dei Consolati e degli Istituti italiani di cultura».
Nelle presidenziali, poi, c’è stata più Italia di quanto si pensi. «Se la Fiat, se Marchionne, non avesse salvato la Chrysler, forse per Obama sarebbe andata diversamente», racconta Severgnini. E lo stesso problema che hanno gli Usa (o almeno parte di questo nazione che è un quarto del continente) ce l’hanno anche città come «Firenze, Venezia in Italia: la stessa fortuna e sfortuna». Sono icone conosciute nel mondo, chiunque crede di conoscerle perché sa che qui troverà «Leonardo, Botticelli, Dante» e non fa un passo successivo, per scoprire la vera città. Il «passo successivo» è vedere «dietro i riflettori che accecano», che siano i grandi del Rinascimento o il cinema di Hollywood, e raccontare anche l’altra faccia, quella non illuminata.
Ma dopo mesi passati negli Usa, che effetto ha fatto a Severgnini vedere il primo «confronto all’americana» tra i candidati del centrosinistra? «Un soffio d’aria fresca. Io credo che se Renzi non fosse esistito, Bersani avrebbe dovuto inventarlo». Quel palcoscenico e quei cinque candidati, dal moderato Tabacci al radicale Vendola passando dai due big a Laura Puppato «è il presente del partito democratico» (o forse, il futuro). «Una cosa che anche qualcuno nel Pdl vorrebbe fare, per liberarsi del ‘‘padre padrone’’, Berlusconi. E il primo che sottoscriverebbe queste parole, sono convinto dato che è un mago del marketing anche politico, è Berlusconi stesso».
16 novembre 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA
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