il film della settimana

Acciaio

Non il semplice adattamento di un romanzo di successo, attraverso il linguaggio del cinema, una storia non necessariamente diversa, ma «differente»

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Acciaio

Non il semplice adattamento di un romanzo di successo, attraverso il linguaggio del cinema, una storia non necessariamente diversa, ma «differente»

Regia: Stefano Mordini; Interpreti: Anna Bellezza, Matilde Giannini, Michele Riondino, Vittoria Puccini; Sceneggiatura: Giulia Calenda, Stefano Mordini; Fotografia: Marco Onorato; Musiche: Andrea Mariano; Montaggio: Jacopo Quadri, Marco Spoletini; Scenografia: Luciano Ricceri; Costumi: Ursula Patzak. Produzione: Palomar, RaiCinema; Distribuzione: Bolero Film. Italia, 2012, 95'.

In Toscana è in queste sale: Firenze: Principe; Campi Bisenzio: Uci; Massa: Splendor; Montevarchi: Cine8; Pescia: Splendor; Pontedera: Cineplex.

E’ stato uno dei film più attesi all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato presentato nella sezione «Giornate degli autori». In parte ha sorpreso, e non in negativo, «Acciaio» di Stefano Mordini, tratto dal bestseller di Silvia Avallone, perché è un film che non si presenta come il semplice adattamento di un romanzo di successo, ma come il tentativo di creare, attraverso il linguaggio del cinema, una storia non necessariamente diversa, ma «differente». Sta tutto qui il pregio di un’operazione che si è avvalsa di due esordienti (Anna Bellezza e Matilde Giannini) trovate in loco (a Piombino) e di una coppia di attori dalla fisionomia espressiva ben definita come Michele Riondino (in quella che è forse la sua migliore prova d’attore fino ad ora) e Vittoria Puccini.

E’ un film di corpi, di volti, di sguardi, di attese, di forza ruvida, «Acciaio», e in questo Mordini non ha dimenticato la lezione del cinema documentario, da cui proviene, asciugando la sceneggiatura dalle scene madri contenute nel romanzo e concentrando tutta la messinscena su quel senso di attesa che segna la vita di Anna e Francesca. «Acciaio» diventa così un film dal tono intimista, in cui scompare gran parte di quella morbosità che contraddistingue il rapporto tra le due ragazzine, a favore di una narrazione in cui trovano posto più i sogni infranti che la sostanza nuda e cruda da pseudo realismo del libro. La Piombino del film è uno scenario buio, mostruoso, sporco, mentre la Lucchini resta inevitabilmente sullo sfondo, più come scenografia che non come presenza-soggetto della dinamica narrativa.

Ecco perché quello di Mordini non è un film dal valore politico o sociale, non è una pellicola sulla fabbrica, sulla lotta di classe, sulla globalizzazione che genera precarietà, ma piuttosto il racconto intenso di una doppia vita incompiuta, della ricerca di un posto nel mondo, del senso di due esistenze da dover costruire necessariamente in un altro luogo, in un altro tempo. La metafora dell’Isola d’Elba, che si staglia lontana lungo l’orizzonte di un sogno e che segna sin dall’inizio l’intera vicenda, ben riassume il senso dell’intero film. In quel senso di continua sospensione, in quella spiaggia di sassi bagnata dalle acque purissime del Tirreno si ritrova tutta l’utopia di una generazione a cui non resta che aggrapparsi con disperazione a un futuro. Qualunque esso sia.

Marco Luceri17 novembre 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

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