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La vita di Roman Polanski nel documentario biografico firmato da Laurent Bouzer

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La vita di Roman Polanski nel documentario biografico firmato da Laurent Bouzer

Regia: Laurent Bouzereau; Interpreti: Roman Polanski, Andrew Braunsberg; Fotografia: Pawel Edelman; Musiche: Alexandre Desplat; Montaggio: Jeff Pickett; Produzione: Anagram Films; Distribuzione: Lucky Red. Gran Bretagna, 2011, 94'.

In Toscana è in queste sale: Firenze: Fiamma; Pisa: Arsenale.

Se la sua vita fosse un film sarebbe «Il fuggiasco» (1947), in cui un disperato e crepuscolare James Mason scappava con la refurtiva dopo aver ammazzato un poliziotto, per poi morire trucidato dagli sbirri tra le banchine di un porto irlandese. Pare strano, ma a stare a sentire per un'ora e mezza circa il quasi ottantenne Roman Polanski che racconta la sua vita non si può far meno di pensare a quel vecchio film di Carol Reed. Per chi crede (un po' stupidamente) che il cinema sia più maledettamente complicato della realtà, vada a vedersi questo documentario biografico firmato da Laurent Bouzereau, appena presentato come evento speciale al Festival di Cannes, e si ricrederà. Già, perché se c'è una cosa che viene fuori da questa lunga conversazione a due tra Polanski e il produttore Andrew Braunsberg (i due sono amici da una vita) è che l'esistenza del regista polacco/francese/americano è più spaventosa ed eccitante di qualsiasi suo film. Il documentario di per sé è piuttosto semplice (anche troppo) e ha un impianto prevedibile (pezzi di film si alternano a foto private e documenti di cronaca), ma la sua forza sta tutta nella grande capacità affabulatoria di Polanski, che racconta la sua vita per sequenze, conducendoci per mano in un lungo viaggio attraverso le tragedie e le utopie del Novecento.

La parte forse più bella (il regista si commuove nel ricordarla) è proprio quella dell'infanzia passata a Cracovia, prima che la Storia arrivasse a sconvolgerla con la violenza inaudita dei nazisti, che gli ammazzano la madre e lo deportano in un campo di concentramento da cui riesce miracolosamente a fuggire. Diventato adulto prima del tempo, con il dolore per aver perso – inspiegabilmente – tutto, Polanski nel dopoguerra si salva grazie al teatro, alla radio e al cinema, che diventa la palestra della sua educazione alla vita (impara a leggere seguendo i sottotitoli dei film), prima di riparare in Francia, a Parigi, dove prima o poi passano tutti gli apolidi del mondo.

Da lì in poi è storia: i primi grandi successi, l'arrivo a Hollywood da enfant prodige, gli spericolati anni Sessanta, il brutale assassinio a Bel Air della prima moglie Sharon Tate (incinta) per mano di Charles Manson, il senso di colpa mai sopito e l'intollerenza degli americani per questo straniero a cui non perdoneranno più niente, il ritorno in Europa, la libertà, il legame con Emmanuelle Seigner, le vecchie vicende giudiziarie (l'accusa di stupro di una minorenne) ancora non archiviate. Non tanto un ritratto d'artista, dunque, ma più che altro il racconto di come un uomo possa superare tutta quella riserva di orrore e negatività che l'esistenza gli prepara e uscirne indenne. Malconcio, forse, con una vena di malinconia, certamente, ma tutto sommato vivo. E così, alla fine del film, Polanski riappare per quello che ancora è: un fuggiasco, una vecchia canaglia.

Marco Luceri18 maggio 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

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