IL DOCUMENTARIO

La storia del re del reggae

In anteprima al cinema Odeon «Marley» del regista scozzese Kevin MacDonald

IL DOCUMENTARIO

La storia del re del reggae

In anteprima al cinema Odeon «Marley» del regista scozzese Kevin MacDonald

Arriva in anteprima al cinema Odeon di Firenze (martedì 26 giugno alle 21.00) «Marley», il bel documentario che il regista scozzese Kevin MacDonald ha dedicato alla straordinaria vicenda umana e musicale del re del reggae, Bob Marley. Guardando il film si ha la piacevole sensazione di non essere necessariamente al cospetto di un'«icona», benché il termine sia perfetto per descrivere l'ascetica fisicità del musicista giamaicano, il suo misticismo, il fervore globale che circonda la sua immagine (riprodotta all'infinito in ogni parte del mondo), così carica da apparire simile a quello di un santo adorato da milioni di fedeli.

Questo appassionato documentario cerca invece di restituire una dimensione più umana a un tale chiamato Robert Nesta Marley, nato nel 1945 nel piccolo villaggio di Rhoden Hall, vicino Kingstone, capitale della solare e poverissima Giamaica,, e morto a Miami nel 1981, a trentasei anni, quelli giusti per diventare una leggenda. Prima di MacDonald, il produttore Steve Bing aveva contattato pezzi da novanta del cinema mondiale come Martin Scorsese e Jonathan Demme con l'obiettivo di far realizzare loro un documentario sul grande musicista, ma poi le trattative si erano arenate e così, con il benestare della famiglia Marley, la scelta è caduta su questo regista britannico, autore di un paio di titoli apprezzabili (Premio Oscar nel 2000 per il documentario «Un giorno a settembre», ma i più lo conoscono per il suo ultimo film, «L'ultimo re di Scozia»).

Seguendo un metodo già sperimentato nel corso della sua carriera, MacDonald ha costruito questo film lungo una linea narrativa ben precisa, ovvero mettendo a confronto i ricordi di chi ha vissuto accanto a Bob Marley con i pochi e lacunosi documenti che il musicista ci ha lasciato. Infatti vediamo spesso filmati di repertorio che ci mostrano Marley e i Wailers (la sua band) in concerto o in studio di registrazione, ma li sentiamo parlare poco: a fare da voci narranti sono proprio le numerose testimonianze che parlano del suo carisma, del suo ascendente sugli altri musicisti, della forza con cui Marley era capace di imporre il suo punto di vista religioso e politico. Così MacDonald ci costringe a concentrarci su ognuna delle tappe che hanno costituito la carriera di Marley e in particolar modo sull'importanza che ha avuto nella sua formazione la cultura meticcia (del resto era figlio di un funzionario coloniale britannico e di una giovane bellezza giamaicana, Cedella Booker), che lo spinse sin dall'inizio a cercare una strada che lo potesse portar fuori dal disperato ghetto di Kingston, dove era cresciuto.

Così il film racconta minuziosamente i primi passi negli studi della capitale, la formazione dei Wailers, l'incontro con il produttore Chris Blackwell (giamaicano come lui, ma nato dall'altra parte della barriera di classe e di razza), l'esplosione del gruppo a livello mondiale, il successo da solista, la fama internazionale, analizzata soprattutto nei suoi risvolti più politici. Ampio spazio anche ai dettagli della vita sentimentale e famigliare di Marley, da cui vien fuori il ritratto di un uomo seducente, ma a volte piuttosto rigido, un «profeta», certo, ma con una certa malcelata attitudine al comando. Chi si aspetta molta musica probabilmente resterà deluso: MacDonald ha usato i frammenti musicali non per fare del suo documentario un lungo videoclip in forma di «best of», ma per illustrare allo spettatore la ricchezza della musica di Bob Marley, e anche la capacità del musicista giamaicano di evolversi e di aprirsi a nuovi orizzonti sonori, tanto che nell'ultima fase della sua carriera riuscì a conquistare, ad esempio, il pubblico afro-americano. Poi un giorno, arrivò un melanoma e se lo portò via. Il resto è leggenda.

Marco Luceri21 giugno 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

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