PERGOLA, SU IL SIPARIO
Lavia: «La vecchiaia?
E' una brutta bestia»
Il grande attore in scena con Pirandello
PERGOLA, SU IL SIPARIO
Lavia: «La vecchiaia?
E' una brutta bestia»
Il grande attore in scena con Pirandello
Dieci giorni con Pirandello. Dieci giorni con un paradosso esistenziale significato, attraverso il modulo teatrale, da uno slogan ingannatore oltre il cui guscio attende, vampiresca, una realtà tragica. “Tutto per bene” è il titolo del classico con il quale Gabriele Lavia ha inteso rimodellare materia attuale e commestibile per l’anima offrendola, dal 26 ottobre al 4 novembre al Teatro della Pergola che con questo spettacolo apre la stagione teatrale.
Lavia, il suo ennesimo battesimo stagionale a Firenze. Casualità o scelta motivata?
«Entrambe le cose. Il mio Teatro di Roma aveva necessità di trovare un luogo, ma non uno qualsiasi. La Pergola è, tra i teatri del mondo, uno dei più belli e più giusti per un attore. Firenze è città che amo da sempre. Infine qui c’è il mio grande amico Marco Giorgetti. Come vede ho avuto le mie buone ragioni per scegliere. Tra l’altro proprio la Pergola rappresenta l’ossessione del mio amico Albertazzi e mi auguro di onorarla a dovere».
Con un’opera, quella di Pirandello appunto, che pare scritta oggi tanto è attuale.
«Già, la storia di Martino il quale un giorno si sveglia da quella specie di sogno positivo che era la sua vita di uomo e di marito illuso per accorgersi che, in realtà, la luce illumina una scena a dir poco straziante per lui e per il mondo. Un’opera quanto mai pedagogica, dunque, se si considera il disastro che sta devastando non soltanto il nostro Paese, ma l’intera Europa e, insomma, l’Occidente».
Le ragioni di questa Armageddon quotidiana?
«Alla base di tutto un grande equivoco. Quello di aver pensato che per unire l’Europa bastasse la moneta unica. Le unioni autentiche sono figlie del pensiero e non dell’economia. Tant’è, oggi siamo in ostaggio degli economisti con i risultati che si vedono».
La caduta dei muri e delle ideologie hanno contribuito in modo importante alla creazione di questo caos.
«E chi ha mai detto che le ideologie fossero un bene? Le idee sono il bene. Che Guevara, per esempio, era un’idea e non un’ideologia».
Lei Lavia, ha compiuto settant’anni, eppure….
«Eppure non voglio saperlo. I compleanni non esistono, servono soltanto a farti incazzare. Non è vero che andando avanti con l’età si è maggiormente saggi».
Cosa dicono i suoi tre figli rispetto a queste sue riflessioni generazionali?
«Beh, loro sanno perfettamente di avere un padre che non è sano di mente».
Quella stessa follia che, talvolta e sempre più spesso, la porta a dire che il teatro sta morendo perché sono defunti i grandi registi?
«Intanto il teatro non morirà mai perché l’uomo sentirà in eterno la necessità di rappresentarsi attraverso la lunga e splendida luce dello sguardo e della verità. Non ci saranno più i registi, questo è vero, e ciò accadrà ancora prima che si chiuda il nostro secolo. Figure che non hanno più ragione di essere. Portatori di ideologie, anche loro, più che di idee. L’attore è l’idea senza necessità di mediazione tra lui e il pubblico. I registi sono la causa prima della deriva degli attori».
Ma lei, maestro, è anche regista.
«E in quel ruolo mi piace definirmi un rovinatore. Tento, quindi, come attore di limitare i danni».
Lei è solito definire la sua vita con il termine infelice. Non le pare eccessivo?
«Una diminutio, mi creda. La mia vita è stata un autentico inferno».
Si riferisce, forse, al suo privato?
«Parlo del mio essere attore con un testo tra le mani che non potrai mai dominare in assoluto perché, come diceva Eraclito, pur percorrendo l’intera vita non arriverai mai al fondo della tua anima o a toccare lo spirito vitale».
Si diceva, prima, della vecchiaia…
«Tremenda bestia. Ti uccide. La dovresti affrontare con ironia, ma non dura molto. Vittorio Gassman era intelligente e ironico. Mi accorsi, frequentandolo spesso, che la depressione lo stava uccidendo proprio perché aveva perso molto di quel suo saper ridere e ridersi addosso. Così come colsi dietro le quinte di un teatro a Taormina, dove ritiravamo un premi, la fine di Ugo Tognazzi il quale era accanto a me e si vedeva che non avrebbe sopportato per troppo tempo quell’ingiustizia della natura chiamata vecchiaia».
Come gabbare, allora, questo incidente di percorso?
«Facendo come Edmund Kean che morì in scena».
25 ottobre 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Teatro Argentina (22/10/2012)
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