il film della settimana
La bottega dei suicidi
In una città in cui la vita è diventata triste, le persone disperate sono più che benvenute nel negozio che offre loro ogni genere di strumento necessario a farla finita
Regia: Patrice Leconte; Sceneggiatura: Patrice Leconte; Musiche: Etienne Perruchon; Montaggio: Rodolphe Ploquin; Produzione: Arp Sélection, Caramel Film, Diabolo Films; Distribuzione: Videa – Cde. Francia/Canada/Belgio, 2012, 85'
In Toscana è in queste sale:Firenze: Fiamma.
Non capita spesso che un affermato autore del cinema europeo si metta alla prova con l’animazione. E’ il caso del raffinato Patrice Leconte, che ha adattato per il grande schermo un originale romanzo di Jean Teulé, «Le magasin des suicides». In una città in cui la vita è diventata talmente triste che la gente non ha più voglia di vivere, gli affari della «bottega dei suicidi», gestita da Mishima e Lucréce Tuvache con i loro figli, vanno a gonfie vele. Le persone disperate, infatti, sono più che benvenute nel negozio che offre loro ogni genere di strumento necessario a farla finita.
Alla nascita di Alain, però, la disgrazia si abbatte sulla ricca famiglia: il piccolo sorride e, ancor peggio, è innamorato della vita! Niente di più sovversivo, insomma, in un microcosmo in cui il suicidio è una moda necessaria e la vita sembra essere una terribile colpa da espiare. Leconte racconta tutto questo grazie a un impianto che pesca a piene mani dai più disparati immaginari dark e poetici della cultura visiva moderna: dal mondo di Tim Burton ai disegni animati del grande Sylvain Chomet, al gusto per l’assurdo e il surrealismo di cui è ancora intrisa la cultura francese e belga, da Bréton a Magritte, all’attrazione per l’infanzia avventurosa di Hergé. Ciò vale innanzitutto sul piano visivo, anche se Leconte ha cercato di trovare una strada originale, che cercasse di combinare queste diverse influenze in uno stile crudo ed evocativo al contempo.
L’operazione è riuscita solo in parte: in assenza degli eroi solitari di Burton e dell’ironica malinconia di Chomet, il regista francese si è concentrato sul ritratto d’ambiente, sul grigiore infinito di una città di zombie, in contrasto con la variopinta, coloratissima bottega dei Tuvache e sulla resa di personaggi dalla cui fisicità mostruosa traspare tutto il senso di disperazione che pervade la prima parte del film. Certo, sul piano narrativo, la nascita di Alain segna il più importante plot point della storia e dalla sua entrata in scena la gioia di vivere diventa un inarrestabile inno alla bellezza e alla forza dell’esistenza. Tuttavia, nonostante l’inevitabile schematismo su cui il film è costruito, e un crescendo finale di buonismo, «La bottega dei suicidi» riesce a conservare l’originalità dell’idea di fondo, che è poi quella di riuscire, possibilmente sorridendo, a esorcizzare, a pochi giorni dal nuovo anno, lo spirito che pervade i tristi tempi di crisi in cui viviamo.
28 dicembre 2012 (modifica il 30 dicembre 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA