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Il nuovo film di Matteo Garrone (premiato con il Grand Prix all'ultimo Festival di Cannes), arriva come un pugno nello stomaco o come uno squarcio sugli occhi

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Il nuovo film di Matteo Garrone (premiato con il Grand Prix all'ultimo Festival di Cannes), arriva come un pugno nello stomaco o come uno squarcio sugli occhi

Regia: Matteo Garrone; Interpreti: Aniello Arena, Loredana Simioli, Nando Paone, Graziella Marina; Sceneggiatura: Matteo Garrone, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso; Fotografia: Marco Onorato; Musiche: Alexandre Desplat; Montaggio: Marco Spoletini; Scenografia: Paolo Bonfini; Costumi: Maurizio Millenotti Produzione: Archimede Film, Fandango, Le Pacte-Garance Capital, RaiCinema; Distribuzione: 01. Italia/Francia, 2012, 105'

In Toscana è in queste sale: Firenze: Fiorella, Fulgor, Principe, The Space, Uci; Arezzo: Eden, Uci; Campi Bisenzio: Uci; Chiusi: Clev Village; Empoli: Excelsior; Figline Valdarno: Nuovo S.a.s.; Livorno: Quattro Mori, The Space; Lucca: Centrale; Massa: Splendor; Montevarchi: Cine8; Pisa: Isola Verde; Pistoia: Roma; Poggibonsi: Garibaldi; Pontedera: Cineplex; Prato: Eden; Santa Croce sull'Arno: Lami; Sesto Fiorentino: Grotta; Siena: Nuovo Pendola; Viareggio: Politeama.

«Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d'Europa» sentenziava serafico Orson Welles ne «La ricotta». Correva l'anno 1963 e il regista/attore americano parlava per bocca di Pier Paolo Pasolini, che fu il primo a profetizzare quel burrone dentro cui, mezzo secolo dopo, il suo Paese, l'Italia, sarebbe precipitato. Oggi, in questo triste 2012 di crisi e di scandali, «Reality», il nuovo film di Matteo Garrone (premiato con il Grand Prix all'ultimo Festival di Cannes), arriva come un pugno nello stomaco o come uno squarcio sugli occhi: mettendo in scena la parabola autodistruttiva di un povero pescivendolo napoletano, spinto dalla sua famiglia a partecipare alle selezioni del Grande Fratello, il regista romano non racconta solamente la follia a cui giunge il protagonista, ma mostra il vuoto dentro cui è caduta un'intera nazione, che ha rinunciato alla propria identità per gettarsi nel vacuo sogno della facile ricchezza e della fama improvvisa.

Nell'universo chiuso di questa triste appendice di «Gomorra», dove anche i residui di una sacralità antica, quotidiana, meridionale, si sciolgono nel magma indistinto di un mondo completamente tele-estetizzato, il volto smunto di Luciano (Aniello Arena, detenuto-attore del carcere di Volterra) si muove tra maschere gonfiate da una falsa opulenza, strade miserevoli, corpi flaccidi e pesanti, risate sguaiate, code di uomini e donne in attesa di aggiungere il nulla al nulla. Tra toni farseschi da commedia nera (a tratti surreale) e risvolti tragici (a colpi di kitsch), il film ci appare come un terribile specchio in cui poter riflettere tutta la nostra mostruosità: affascinante e sontuoso, si sviluppa per immagini che già in sé, una per una, sembrano contenere l'opzione estetica dell'intera operazione, quella su cui va a sbattere il povero Luciano, che guarda tutto, ma non comprende niente. La vita ridotta a messa in scena, ad appendice di uno spettacolo che non ha né un'inizio, né una fine, ma un continuo, soffocante presente, in cui il falso diventa vero proprio perché (troppo) falso: le ossessioni, i fantasmi di Luciano non sono altro che le spirali di una vertigine senza senso, quella prodotta dal «pauroso mondo moderno» (ancora Pasolini) di fronte al quale i semplici e i poveri nulla possono. E' per questa sua potenza visiva, per questo suo realismo mostruoso e abbagliante, per questo suo rifiuto di «dimostrare» qualcosa (a quello ci pensano i soloni del moralismo più conformista), per questa sua voglia di «mostrare» ciò che più non siamo, che possiamo definire «Reality» come un film necessario, commovente nella sua violenza, disarmante per la sua ovvietà, uscito nei cinema di una nazione in cui nulla è più osceno perché tutto è in scena.

Marco Luceri28 settembre 2012 (modifica il 30 settembre 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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