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cinema

This is not a film

Il lavoro firmato dai due registi iraniani Jafar Panahi e Mojtaba Mirtahmasb, ora arriva a Firenze, il 9 febbraio (ore 21) all'Odeon

Più che un film è una disperata forma di ribellione, un grido di dolore, una straordinaria testimonianza di libertà e di amore per il proprio lavoro. Stiamo parlando di This Is Not A Film, firmato dai due registi iraniani Jafar Panahi e Mojtaba Mirtahmasb, che dopo essere passato al Festival di Cannes e alla Mostra del Cinema di Venezia come evento speciale, ora arriva a Firenze, il 9 febbraio (ore 21) al cinema Odeon, come anteprima del Festival Film Middle East Now (in programma ad aprile).

Panahi, dopo una breve detenzione in carcere, è da quasi tre anni agli arresti domiciliari nella sua casa di Teheran, con il divieto assoluto di lavorare per i prossimi vent'anni perché accusato di «propaganda contro il regime» per aver preparato un film sulla Rivoluzione Verde del giugno 2009. This Is Not A Film, che tuttavia è riuscito a uscire clandestinamente dall'Iran (è stato caricato su una chiavetta usb!), fa, per così dire, di necessità virtù: Panahi, prigioniero nel suo appartamento, trasforma la sua situazione nel soggetto di un film. Che cosa può fare un cineasta che non ha più il diritto di girare, con la paura che da un momento all'altro possa essere di nuovo arrestato? E' così che il protagonista diventa lui stesso, i dialoghi – talvolta anche ironici - sono quelli al telefono con il suo avvocato, il set si restringe tra le quattro pareti della sua casa, le immagini si moltiplicano solo sugli schermi della tv o del telefonino, in un film che davvero mostra quanto coraggio e quanta dignità possa avere un artista privato della libertà di creare.

L'idea di questo film “alla Oblomov” è nata – come ha dichiarato Mirtahmasb a Le Monde, quando era a Cannes – «proprio dopo che il regime aveva iniziato a fare pesanti pressioni sui registi. Volevo mostrare concretamente l'impatto di queste intimidazioni sulla loro vita professionale. Alla fine, insieme a Panahi, ci siamo concentrati sulla sua vicenda, che è emblematica di tutti quei problemi che abbiamo incontrato in questi ultimi anni. E' stato come girare l'impossibilità di girare. Con Jafar abbiamo lavorato tra di noi, puntando la cinepresa su noi stessi. In Iran c'è un vecchio proverbio che dice: “Quando i parrucchieri non hanno più clienti, iniziano a tagliarsi i capelli reciprocamente”». Intanto lo scorso 18 settembre anche Mirtahmasb è stato arrestato, insieme ad altri cinque documentaristi e a una produttrice, accusati dal regime di essere degli agenti al servizio della BBC, il canale inglese che aveva diffuso i film censurati di questi registi.

Alla luce di questi avvenimenti This Is Not A Film assume sempre più la forma di una “lettera filmata”, spedita al mondo a testimonianza di una causa personale e collettiva, una dimostrazione che niente può impedire a un cineasta di lavorare e non solo perché – com'è scritto nelle note di regia del film - «preferiamo essere degli uomini liberi che degli eroi in prigione», ma perché, alla fine, nonostante tutto, le immagini restano. E nessuno può mettere le catene alle immagini.

Marco Luceri
06 febbraio 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

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