IL FILM DELLA SETTIMANA

Seven days in Havana

Un'opera collettiva con due gioielli dentro: l'episodio diretto da Benicio Del Toro e quello di Elia Suleiman

IL FILM DELLA SETTIMANA

Seven days in Havana

Un'opera collettiva con due gioielli dentro: l'episodio diretto da Benicio Del Toro e quello di Elia Suleiman

Regia: Benicio Del Toro, Pablo Trapero, Julio Medem, Elia Suleiman, Gaspar Noé, Juan Carlos Tabìo, Laurent Cantet; Interpreti: Josh Hutcherson, Emir Kusturica, Melvis Estévez, Elia Suleiman; Sceneggiatura: Leonardo Padura; Fotografia: Daniel Aranyò, Diego Dussuel; Montaggio: Thomas Fernandez, Rich Fox, Véronique Lange; Produzione: Full House, Morena Films, Havan Club International SA, Canal +; Distribuzione: Bim. Francia/Spagna, 2012, 100'.

In Toscana è in queste sale: Firenze: Astra 2; Pisa: Odeon; Siena: Odeon; Viareggio: Goldoni. E' un film “turistico” (nel senso peggiore del termine, naturalmente) quest'opera collettiva presentata all'ultimo Festival di Cannes (nella sezione “Un Certain Regard”) e firmata da un gruppo di registi molto diversi (c'è anche Benicio Del Toro, al suo debutto dietro la macchina da presa). Sette di loro hanno deciso di raccontare la vita della capitale cubana dividendosi i giorni della settimana, mettendosi così al servizio di un film che tenta di avere la sua forza in questa pluralità di sguardi. Peccato però che il progetto sia molto al di sotto delle aspettative, tanto che alla fine si fa davvero fatica a comprenderne l'utilità. Il difetto grossolano dell'intera operazione sta tutto in un'insistita (ed esibita) fascinazione non per la città così com'è, ma per i suoi stereotipi più banali: il rum, le belle donne, la musica, le cerimonie religiose, il castrismo più pittoresco e tutto quello che ogni tour operator del mondo cercherebbe di vendere al prezzo più conveniente.

Ma siamo al cinema e non in un'agenzia di viaggi e così delle sette storielle che ci vengono raccontate ben cinque sono soffocate da un'immobilità narrativa che in un'operazione del genere (l'episodio dovrebbe funzionare come un cortometraggio: un'idea semplice ma accattivante, con un ribaltamento finale inaspettato) andrebbe bandita. Fanno eccezione sia l'episodio diretto da Benicio Del Toro - la storia di un ragazzino americano che arriva a L'Avana per frequentare una scuola di cinema, ma passa le notti brave a ubriacarsi nei bar e a tentare di rimorchiare le belle ragazze (?) del posto -, sia quello di Elia Suleiman, che è l'unico vero gioiello contenuto nel film. Il regista palestinese, qui in veste di attore, è l'unico capace di raccontare qualcosa di originale: con il suo consueto tocco di surreale umorismo (la sua comicità è davvero a metà strada tra Jacques Tati e Buster Keaton), Suleiman svela il lato più grottesco e dolente delle rivoluzioni mancate e del non senso della Storia. Il suo non è uno sguardo da turista, ma da esule che arriva a L'Avana con la sola voglia di guardare. Passa così le sue giornate silente di fronte a un lungomare che si popola (e poi si svuota) di persone che scrutano sognanti l'orizzonte oltre l'Oceano, o attraversando anonime camere d'albergo dove risuona come una cantilena la voce di un Fidel fuori tempo massimo, o entrando nella sede di un'ambasciata palestinese sempre “vuota”, o semplicemente restando seduto al bancone di un bar, a osservare vecchi libidinosi occidentali in cerca di carne fresca da macello. E' in queste tracce di vita che Suleiman trova il senso di una città intrappolata in un eterno, dolente e malinconico presente. Questo (per fortuna) non è più semplice turismo. E' cinema. E sa di verità.

Marco Luceri08 giugno 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

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