L'EVENTO
Vinicio, il marinaio, il profeta
«Io e quell'intervista a Bach»
Al via la tre giorni del World Bach Fest. Domenica il clou a Palazzo Vecchio
Un profano la chiamerebbe semplicemente «anima». Un sacerdote a metà strada tra il culto dionisiaco e la ricerca della poesia pura come Vinicio Capossela invece, la racconta così: «C’è qualcosa dentro di noi. Qualcosa che normalmente è evanescente. Ma che attraverso l’esperienza della Grazia che è l’ascolto della musica di Bach, trova edificazione e cristallizzazione. Si fa corpo». Si aprano le porte sull’«impossibile». Come «impossibile» è l’intervista che Johann Sebastian Bach rilascerà al «marinaio» Vinicio Capossela domenica alle 18 a Palazzo Vecchio: momento clou della tre giorni del World Bach Fest ideato da Mario Ruffini e Ramin Bahrami.
A inaugurare il festival sarà proprio il pianista persiano, stasera alle 21.30 al Teatro del Maggio. Sempre di Bahrami il compito di vestire i panni del Kantor di Eisenach durante l’intervista. Dunque, Capossela. Quale sarà il primo dubbio che vuole togliersi? «Sappiamo che Dio deve tutto a Bach. Ma non sappiamo — e glielo chiederemo — cosa Bach deve a Dio».
Parliamo di musica o di fede? «Conosciamo la sua musica, dobbiamo interrogarci sull’uomo. Il segreto più importante che Bach si è portato nella tomba è il mistero oscuro della Grazia, il lato più trascendentale della sua musica».
Quando Vinicio Capossela ascolta Bach, cosa accade? «Si riattiva qualcosa di sopito, nel profondo. Le Suites per violoncello hanno il potere di farci percepire che abbiamo davvero un’anima, qualcosa che trascende l’uomo, ma che normalmente evapora. E che invece, grazie alla sua musica, si cristallizza».
Un’esperienza di fede «concreta»? «Credo che l’ascolto di Bach infonda la stessa cosa che nell’esperienza religiosa è l’estasi ‘‘dell’uscire da sé’’. La sua è una musica che sovrasta, che ci invade e che permette all’anima di librarsi».
È inevitabile riflettere sul rapporto tra musica e religione. «Per me la fede non è una certezza ma una ricerca. Lo stesso vale per la musica: è un tendere sempre a qualcosa oltre se stessi. Ecco il rapporto. Bach lo sapeva».
Quando e come è avvenuto il suo incontro con il maestro? «Grazie a Glenn Gould. La sua interpretazione delle Variazioni Goldberg del ’55, l’unione tra la partitura e la personalità di Gould, è un’altra vera esperienza di Grazia. Molto importante è stata anche quella insieme a Mario Brunello (violoncellista celebre per aver magistralmente inciso le sei Suites e collaboratore di Capossela da Ovunque proteggi, ndr) che mi ha fatto scoprire la grande tensione e la straordinaria versatilità bachiana. Poi, con Bach ho scoperto la musica sacra e ho capito che l’anima non basta».
Qual era il segreto di Gould? «Il suo modo di suonare è il suo modo di intendere la vita: mettendo sempre una giusta distanza tra sé e la partitura, permettendo così alla perfezione di non contaminarsi troppo con la vita».
Se Bach fosse un autore dei nostri tempi, quale genere di musica comporrebbe? «Penso che scriverebbe la stessa musica che ha composto trecento anni fa. Il suo potere è questo: non ha bisogno di essere attualizzato, va al di là del tempo. È un archetipo».
Quindi, se lo chiamassero al festival di Sanremo... «No, non lo avrebbero mai invitato».
Se Capossela scrivesse una canzone su Bach, sarebbe una ballata, uno swing, un brano intimista? «Non potrei mai. Ci ha già pensato Jeff Buckley. La sua Grace, forse non sembra, ma a suo modo è una canzone che parla di Bach».
Se Bach vivesse tra noi, oggi, probabilmente Mario Monti lo vorrebbe Ministro della Cultura… «E lui ne approfitterebbe per togliersi qualche vezzo. Per esempio costruirebbe subito, finalmente, dei luoghi per la musica che siano sufficienti a contenere le sue opere monumentali. Purtroppo in vita ha avuto raramente il privilegio di ascoltarle in condizioni adatte. E poi, ovviamente, inserirebbe l’insegnamento della musica nelle scuole dell’obbligo. Non c’è strumento migliore per insegnare ai ragazzi a creare qualcosa insieme».
Rimarrà a Firenze due giorni: domenica per l’intervista impossibile e lunedì ospite della maratona per i diritti dei migranti all’Obihall. Quali ricordi la legano alla nostra città? «Innanzitutto la grande esperienza emotiva di aver messo in musica i versi di Michelangelo insieme a Brunello e Pandolfo. E di averla eseguita sotto il David. Poi, ogni volta che vengo a Firenze non posso non andare a passeggiare per via dell’Inferno a respirare un po’ di anima dantesca. Anche se la grande anima del Sommo Poeta la ritrovo più facilmente sulle alte montagne».
Infine, resta un ultimo mistero da svelare: «Che coss’è l’amor? Chiedilo a Bach...».
E lui risponde? «Una nobile sofferenza».
Edoardo Semmola
09 marzo 2012(ultima modifica: 10 marzo 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA
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