il film della settimana
«No – I giorni dell'arcobaleno»
Ambiguità e complicazioni sono sempre dietro l'angolo e sono cose che l'ottimismo e la gioia non possono cancellare
Regia: Pablo Larraìn; Interpreti: Gael Garcia Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegers; Sceneggiatura: Pedro Peirano; Fotografia: Sergio Armstrong; Montaggio: Andrea Chignoli; Scenografia: Estefanìa Larraìn; Produzione: Fabula, Participant Media, Canana; Distribuzione: Bolero Film. Cile/USA/Messico, 2012, 110'.
In Toscana è in queste sale: Firenze: Colonna, Flora; Livorno: Grande; Lucca: Italia; Pisa: Odeon; Prato: Eden.
Il tratto veramente originale di questo nuovo film del talentuoso regista cileno Pablo Larraìn (autore del bellissimo «Post mortem», uscito tre anni fa), «No – I giorni dell'arcobaleno», sta nell'aver dato una bella dose di nuova freschezza a un genere, il film politico, spesso cupo e violento (soprattutto se ambientato in Sudamerica). Guardando questo film si percepisce sotto una nuova luce lo spirito di una «rivoluzione» che, contro ogni iniziale previsione, preparò il terreno alla caduta del regime di Augusto Pinochet. Nel 1988 il dittatore cileno, messo alle strette dalle pressioni internazionali, chiese un referendum sulla sua presidenza.
I leader dell'opposizione convinsero il giovane e sfrontato pubblicitario René Saavedra (interpretato da un intensissimo Gael Garcìa Bernal) a condurre la loro campagna. Con poche risorse e costantemente sotto il controllo delle autorità (è qui che il film rispetta in pieno i canoni di genere), Saavedra e il suo team misero in atto un audace piano per vincere le elezioni e liberare il loro paese dall'oppressione. Scritto e diretto da questo punto di vista (il film è tratto da una pièce di Antonio Skàrmeta), «No – I giorni dell'arcobaleno» ribalta completamente le consuetudini, regalandoci una battaglia politica fatta di allegria, spregiudicatezza, anticonformismo, provocazione, divertimento e fiducia in futuro migliore (fu soprattutto questo a colpire positivamente pubblico e critica all'anteprima internazionale del film, avvenuta al Festival di Cannes dello scorso anno).
Così costruita, la pellicola – che di certo non lesina di mostrare quanto oppressivo e duro fosse il regime di Pinochet nei confronti delle opposizioni – lascia spazio a un sentimento positivo che tuttavia trova un suo controcato nell'effetto «vintage» delle inquadrature. Il film alterna infatti immagini di repertorio a sequenze di finzione, ma la sgranatura è comunque sempre la stessa. Attraverso questo espediente formale Larrain sembra suggerirci una cosa importante: la gestione di una vittoria politica, ieri come oggi, impone delle responsabilità. Ambiguità e complicazioni sono sempre dietro l'angolo e sono cose che l'ottimismo e la gioia non possono cancellare. E il fatto che il primo a rendersene conto sia proprio Saavedra la dice lunga su quanto sia spesso effimera la forza delle azioni umane.