IL FILM DELLA SETTIMANA
Still Life
Un racconto donchisciottesco sulla vita, l'amore,
la solitudine. Con la regia di Uberto Pasolini
Regia: Uberto Pasolini; Interpreti: Eddie Marsan, Joanne Frogatt, Karen Drury; Sceneggiatura: Uberto Pasolini; Fotografia: Stefano Falivene; Musiche: Rachel Portman; Montaggio: Tracy Granger; Scenografia: Lisa Hall; Costumi: Pam Downe; Produzione: Redwave Films, Beta, Rai Cinema; Distribuzione: Bim. UK/Italia, 2012, 87'.
In Toscana è in queste sale: Firenze: Fiorella.
È stato il film-rivelazione dell'ultima Mostra di Venezia «Still Life», il nuovo film di Uberto Pasolini (che il regista italo-britannico presenta al Fiorella sabato 14 dicembre alle 21), produttore di successo (era suo «Full Monty») e nipote del grande Luchino Visconti. Si tratta di uno struggente racconto donchisciottesco sulla vita, l'amore e il «post mortem».
Meticoloso e organizzato fino all'ossessione, John May è un impiegato del Comune incaricato di trovare il parente più prossimo di coloro che sono morti in solitudine. Quando il suo reparto viene ridimensionato, John concentra i suoi sforzi sul suo ultimo caso. Inizierà così un viaggio liberatorio nell'Inghilterra profonda, che gli permetterà di iniziare a vivere, finalmente, la sua vita. Quella di John è la storia di chi ha passato l'esistenza a riempire la propria vita con quelle degli altri. Grigia, anonima, sempre uguale, la giornata di John non è altro che un lungo rimettere insieme i pezzi di storie altrui, mai vissute in prima persona, se non nel momento in cui queste vite smettono di essere tali, per trasformarsi in ricordi. Tuttavia il piccolo John (straordinariamente interpretato da uno dei migliori caratteristi inglesi, Eddie Marsan) riesce alla fine a trasformare una solitaria routine nella più poetica delle avventure, perché chi vive per i morti non può che conservare dentro di sé un mondo di sentimenti tanto grandi quanto contrastanti. Pasolini è riuscito a raccontare tutto questo con uno stile lontanissimo dalle sollecitazioni fracassone tipiche del cinema contemporaneo, sembra anzi aver guardato alla lezione di grandi maestri come Ozu: inquadrature fisse e lunghe, il punto di vista rialzato per «rimpicciolire» ancora di più il protagonista, uno spiccato e malinconico realismo, un tono pacato e profondo. Si tratta di un cinema che si dà come un dono della vita, che alla fine restituisce una chiara dimensione simbolica a tutta la vicenda di questo borghese piccolo piccolo. E quando nel finale si realizzerà un'inaspettata epifania, sembrerà di trovarsi di fronte alle immagini di una pagina di Joyce.