il film della settimana
Nella casa
La commedia si trasforma pian piano in un thriller e ciò che appariva irrilevante all'inizio si rivelerà fondamentale alla fine
Regia: François Ozon; Interpreti: Fabrice Luchini, Ernst Umhauer, Kristin Scott Thomas, Emmanuelle Seigner; Sceneggiatura: François Ozon; Fotografia: Jérôme Alméras; Musiche: Philippe Rombi; Montaggio: Laure Gardette; Scenografia: Arnaud de Moléron; Costumi: Pascaline Chavanne; Produzione: Mandarin, Foz, France 2; Distribuzione: Bim. Francia, 2012, 105'.
In Toscana è in queste sale: Firenze: Portico; Campi Bisenzio: Uci; Lucca: Italia; Pisa: Odeon; Pistoia: Lux; Prato: Terminale; Siena: Nuovo Pendola.
È un film a incastri «Nella casa», l'ultima fatica di François Ozon. E non potrebbe essere altrimenti perché è davvero difficile immaginare un cinema più «francese« e più «cinéphile» di quello di questo quarantaduenne autore tra i più amati del cinema d'Oltralpe. Ozon è un artista dalla creatività incontrollabile (realizza un film all'anno), che riesce a mettere insieme quantità e qualità, in nome di un universo poetico che ha sempre avuto in un'ironica riflessione sul linguaggio (meta)cinematografico la sua forza. Che i suoi film siano thriller, commedie, musical o melodrammi, il regista francese ha sempre saputo fare di essi delle tracce visibili di una ricerca sul valore dell'immaginazione, all'altezza di un secolo (quello che viviamo) che ha fatto perdere al cinema quella centralità culturale che aveva nel Novecento.
È così che Ozon può permettersi di fare un film alla Woody Allen senza concedere nulla alla leziosità a cui c'ha abituato ultimamente il maestro americano. Può permettersi di citare Flaubert, Tolstoj, Pasolini, Céline, Salinger, Barthes, ma anche Hitchcock, Chabrol, Rohmer e Zavattini, senza mai scadere in quell'intellettualismo d'antan che piace tanto ai critici (e sempre meno al grande pubblico). Può permettersi, insomma, di essere Ozon. Forza dirompente, questa, di un cinema che trasforma la semplice storia del legame tra un professore di lettere (Fabrice Luchini, sempre meraviglioso) e il suo allievo preferito - quello che sembra essere dotato di un certo talento nella scrittura - in un film sulla morbosità della creazione, sul voyerismo, sulla manipolazione e su tutti quegli angoli oscuri e misteriosi dell'esistenza che solo l'immaginazione può cercare di rappresentare, sotto forme sempre nuove. Lo sguardo del film si fa uno e trino perché mentre vediamo sotto i nostri occhi lo svolgimento della storia, parallelamente ci viene dato un ventaglio di possibili interpretazioni, in un gioco di specchi al contempo oggettivo e soggettivo. E poco importa se poi la commedia si trasforma pian piano in un thriller e ciò che appariva irrilevante all'inizio si rivelerà fondamentale alla fine, anzi. È il bello del film, perché la lenta trasformazione dei generi qui vale l'intera posta in gioco. Fidatevi. E, soprattutto, alla fine, non vi aspettate di uscire dalla sala con una soluzione in mano.
19 aprile 2013 (modifica il 23 aprile 2013)© RIPRODUZIONE RISERVATA