il film della settimana
Stoker
Il meccanismo della suspence, che ci conduce in un vero e proprio tragico ed erotico valzer, è ottenuto grazie allo sfiorarsi dei personaggi, al loro non detto
Regia: Park Chan-wook; Interpreti: Mia Wasikowska, Matthew Goode, Nicole Kidman; Sceneggiatura: Wentworth Miller; Fotografia: Chung Chung-hoon; Scenografia: Thérèse De Prez; Costumi: Kurt Swanson, Bart Mueller; Produzione: Free Production, Indian Paintbrush, Fox Pictures; Distribuzione: 20th Century Fox. USA, 2013, 100'.
In Toscana è in queste sale: Firenze: Principe; Pisa: Odeon; Viareggio: Eden.
C'è da scommettere che molti tra gli appassionati di cinema coreano (che a Firenze non sono pochi, vista la presenza, da più di dieci anni, del Korea Film Fest) resterenno un po' freddi di fronte a quest'ultimo film di uno dei suoi maggiori autori contemporanei, Park Chan-wook. Già, perché il regista di lussuosi ed efferati cult-movie come «Old Boy» e «Lady Vendetta», per questo suo primo film prodotto in America, sembra aver cambiato decisamente passo, raccontando la storia di India Stoker (interpretata da Mia Wasikowska), ragazza sensibile e introversa, e della sua esistenza tranquilla e solitaria, che viene sconvolta nel giorno del suo diciottesimo compleanno dalla morte improvvisa del padre, che perde la vita in un tragico incidente.
Durante il funerale, India incontra il misterioso e affascinante zio Charlie, di cui lei non aveva mai sentito parlare, tornato dopo una lunga assenza proprio per prendersi cura di India e di sua madre Evie (una glaciale Nicole Kidman), una donna fragile e instabile. Sulle prime la ragazza si mostra diffidente nei confronti dello zio, ma con il passare del tempo si renderà conto di avere molto in comune con lui e che la sua ricomparsa non è stata affatto casuale. Cambio di passo, si diceva. Ma siamo poi così sicuri? Certamente chi era abituato alle esplosioni di violenza, alle carneficine al gusto sadico della vendetta resterà un po' deluso, ma se invece parliamo di uno stile – quello del regista coreano – capace di restituire la tensione emotiva grazie a immagini di grande impatto figurativo, allora il discorso cambia.
Perché in «Stoker» il Park che conosciamo – e amiamo – in realtà c'è tutto, solo che il tono della messinscena è più cerebrale rispetto al passato, più «invisibile»: il meccanismo della suspence, che ci conduce in un vero e proprio tragico ed erotico valzer delle pulsioni nascoste, è ottenuto grazie allo sfiorarsi dei personaggi, al loro non detto, oppure grazie a una severa claustrofobia degli ambienti e a un'inedita, sinistra, espressività degli oggetti. Più che a Hitchcock (la figura dello zio potrebbe richiamare alla memoria quella similare de «L'ombra del dubbio») il nostro sembra guardare a Lynch, a quella poetica dell'orrore nascosto nel quotidiano che, attraverso lo sguardo di Park – tentiamo una scommessa – ci riserverà ancora qualche piacevole sorpresa.