il film della settimana

Pinocchio

Pinocchio ci riappare per quello che è: sfrontato, ribelle, bugiardo, cialtrone, insofferente alle regole, ma con un cuore grande

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Pinocchio

Pinocchio ci riappare per quello che è: sfrontato, ribelle, bugiardo, cialtrone, insofferente alle regole, ma con un cuore grande

Regia: Enzo D'Alò; Sceneggiatura: Enzo D'Alò, Umberto Marino; Musiche: Lucio Dalla; Produzione: Cometafilm, Iris, Walking The Dog, 2D-3D Animation; Distribuzione: Lucky Red. Italia/Francia/Belgio/Lussemburgo, 2012, 84'.

In Toscana è in queste sale: Firenze: Fiamma, The Space, Uci; Campi Bisenzio: Uci; Livorno: The Space; Massa: Splendor; Montevarchi: Cine8; Pisa: Lanteri; Pontedera: Cineplex; Prato: Omnia Center; Santa Croce sull'Arno: Lami; Sesto Fiorentino: Grotta.

Ci sono storie che vorremmo leggere o ascoltare per sempre. Perché fanno parte di noi, della nostra storia, del nostro modo di essere al mondo. E non importa se di loro abbiamo solo un ricordo lontano, perché basta poco, anche solo una semplice immagine, per riportarle in vita, davanti al nostro sguardo. «Pinocchio» è una parte indelebile di questo racconto collettivo e ci piace pensare che, proprio nei giorni in cui l'Italia è chiamata al voto per decidere sul suo futuro, sia la piccola grande storia di un povero burattino di legno e del suo babbo la metafora più profonda per descrivere chi siamo stati, chi siamo e chi saremo.

Ora che la favola collodiana ha ritrovato sul grande schermo tutto quello splendore che un regista capace come Enzo D'Alò ha saputo restituirle, Pinocchio ci riappare per quello che è: sfrontato, ribelle, bugiardo, cialtrone, insofferente alle regole, ma con un cuore grande che batte sotto una scorza dura e inanimata. Affondato nei colori di una Toscana che non c'è più, resa metafisica e astratta dal segno inconfondibile di Lorenzo Mattotti, Pinocchio diventa una figura quasi mitica, sospesa in uno spazio-tempo che è qui e ovunque in ogni istante e che scivola via, sornione e poetico, sulle note (le ultime) di un piccolo grande cantore come Lucio Dalla. D'Alò non ha cambiato quasi nulla della storia collodiana, non ha alterato il vissuto di memoria che va dalla Fatina al Paese dei balocchi, dal Gatto e la Volpe alla Balena, ecc. Ha fatto bene: le favole sono tali perché creano un'orizzonte di attesa che nessuno ha il diritto di fare proprio, o di stravolgere.

Però il regista ha trasformato la storia del burattino in un'allegoria forte dei nostri tempi, in quel suo lungo peregrinare quasi senza meta, in cerca di una bussola su cui poter contare o su una direzione verso cui poter orientare il proprio cammino. E ha anche ripensato il rapporto tra Geppetto e Pinocchio, tra un padre e un figlio costretti dalla vita e dal mondo a perdersi, a cercarsi, a perdersi nuovamente, a ritrovarsi. Pinocchio è un film sulla responsabilità. Individuale e collettiva. Quella responsabilità che ci tocca tutti, soprattutto nei passaggi più difficili. Se il cinema, o la letteratura, o la cultura in generale, servono a qualcosa è forse per farci comprendere che le favole fanno parte del nostro mondo e ci aiutano a decifrare, come in un sogno, il suo caos. Del resto, scriveva tanto tempo fa Delmore Schwartz, «è nei sogni che iniziano le responsabilità».

(modifica il 24 febbraio 2013)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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