il film della settimana
La grande bellezza
È un capolavoro perché è un'opera che coglie in profondità il senso del presente, l'hic et nunc di un'epoca
Regia: Paolo Sorrentino; Interpreti: Toni Servillo, Sabrina Ferilli, Carlo Verdone, Carlo Buccirosso; Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello; Fotografia: Luca Bigazzi; Musiche: Lele Marchitelli; Montaggio: Cristiano Travaglioli; Scenografia: Stefania Cella; Produzione: Indigo Films, Babe Films, Pathé Pictures, France2 Cinéma; Distribuzione: Medusa. Italia/Francia, 2013, 142'.
In Toscana è in queste sale: Firenze: Astra2, Fiamma, Fulgor, Odeon, Uci; Campi Bisenzio: Uci; Empoli: Excelsior; Figline Valdarno: Nuovo; Livorno: Kino Dessé, The Space; Massa: Splendor; Montecatini: Excelsior; Montevarchi: Cine8; Pisa: Odeon; Pistoia: Lux; Pontedera: Cineplex; Prato: Omnia Center, Terminale; Scandicci: Cabiria; Sesto Fiorentino: Grotta; Viareggio: Politeama.
CANNES – «La grande bellezza» è un capolavoro. Perché è un'opera che coglie in profondità il senso del presente, l'hic et nunc di un'epoca. Troppo facili i raffronti che sono stati fatti con «La dolce vita», eppure il nuovo film di Paolo Sorrentino – il suo più ambizioso e maturo – come quello di Fellini è un film/spartiacque, con una struttura corale ed episodica, pieno di situazioni, personaggi, visioni, come un'Odissea contemporanea, un viaggio infernale nella città più mitica di tutte, Roma. Jep Gambardella (alias Toni Servillo, con cui il cinema sorrentiniano si identifica, e qui ci fermiamo) è una guida annoiata e disincantata – un ex provinciale giunto in gioventù nella grande città, una sorta di Moraldo felliniano arricchito e invecchiato - che si muove in un regno personale, popolato da figure pallide e sbiadite: dame dell’alta società, parvenu, politici, criminali d’alto bordo, giornalisti, attori, nobili decaduti, cardinali, artisti e intellettuali veri o presunti, intenti a tessere trame di rapporti inconsistenti, inghiottiti in una Babilonia disperata che si agita nei palazzi antichi, le ville sterminate, le terrazze più belle della città.
Un’umanità vacua e disfatta, potente e deprimente, che ondeggia bloccata in un eterno presente senza tempo, in una Roma nera, assediata dal senso di morte. In questa grottesca e amara sospensione del tempo il film di Sorrentino dispiega tutta la sua forza, nel ritratto di un mondo che non sa pensarsi al di fuori di se stesso, fagocitato dalla nostalgia (di tutto), ma che sa concedersi – quasi per inconscia magia – pochi, irripetibili attimi di eterna bellezza. Una bellezza che sfugge e resta nascosta dietro le gigantesche statue, le segrete stanze, gli affreschi imperituri, la meraviglia barocca di fontane, piazze e strade percorse con solenne indifferenza all'alba silente di ogni giorno. Oppure è la bellezza di una notte di eros, persa nel tempo della memoria sulle scogliere dell'Isola del Giglio.
È la bellezza mitica, insomma, che solo il cinema italiano, durante la sua storia, ha saputo raccontare, quella che è indissolubilmente legata al mistero dell'esistenza e della realtà. Sorrentino non ha rinunciato al suo stile parodistico, comico-grottesco, e durante il film si ride e ci si intristisce con la stessa umana intensità, come nella vita. Mentre scriviamo non ci è ancora dato sapere se «La grande bellezza» vincerà la Palma d'Oro, ma l'impressione – dopo l'anteprima mondiale al Festival di Cannes – è stata quella di essersi trovati di fronte al film italiano più importante degli ultimi trent'anni.