il film della settimana

Lincoln

Per una volta vorremmo scomodare il termine «capolavoro», per parlare del nuovo film di Steven Spielberg

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Lincoln

Per una volta vorremmo scomodare il termine «capolavoro», per parlare del nuovo film di Steven Spielberg

Regia: Steven Spielberg; Interpreti: Daniel Day-Lewis, Joseph Gordon-Levitt, Tommy Lee Jones, Sally Field; Sceneggiatura: Tony Kushner; Fotografia: Janus Kaminski; Musiche: John Williams; Montaggio: Michael Kahn; Scenografia: Rick Carter; Costumi: Joanna Johnston; Produzione: Amblin Entertainment, Kennedy/Marshall Company, Weinstein Company; Distribuzione: 20Th Century Fox. USA, 2012, 150'.

In Toscana è in queste sale: Firenze: Colonna, Flora, Fulgor, Portico, Uci; Campi Bisenzio: Uci; Livorno: Quattro Mori; Massa: Splendor; Montecatini: Excelsior; Montevarchi: Cine8; Pisa: Nuovo; Pistoia: Roma; Poggibonsi: Politeama; Prato: Eden; Santa Croce sull'Arno: Lami; Scandicci: Cabiria; Sesto Fiorentino: Grotta; Viareggio: Politeama.

Per una volta vorremmo scomodare il termine «capolavoro», per parlare del nuovo film di Steven Spielberg. Lo facciamo ben sapendo che quando si parla di un'opera come questa il rischio è alto, ma la sensazione che si prova quando - mentre scorrono i titoli di coda - la sala resta muta, raccolta in religioso silenzio, è quella che pochissime volte si ha al cinema. Perché rarissime sono le occasioni in cui un film così colpisce davvero, lasciando il segno. Di quella manciata di presidenti americani diventati miti, Lincoln è stato per moltissimi anni il più mito di tutti: lui, Roosvelt, Kennedy (e ora, Obama) passati alla Storia come i giganti buoni, mentre a molti altri è andata parecchio peggio (vedi Nixon o Bush figlio).

Il cinema americano, che fin dalle sue origini ha sempre avuto (con qualche eccezione, ovviamente) la missione di rappresentare la Storia come una grande narrazione in cui i miti fondativi della nazione sono ben rappresentati nello scontro epico tra buoni e cattivi, non poteva non trovare in queste figure uno dei proprio paradigmi. Il film di Spielberg ha il merito di aver fatto un passo in avanti, e cioè di aver ripulito Lincoln (interpretato da un immenso Daniel Day-Lewis) da quella coltre di polverosa retorica che tanti film avevano contribuito a formare sulla sua figura, spogliandola di quell'aura mitica, per riconsegnarcela per come in realtà era, ovvero quella di un finissimo uomo politico che all'inizio del suo secondo mandato presidenziale aveva ben presente tre nobilissimi obiettivi: abolire la schiavitù, vincere la Guerra di Secessione e rifondare su nuove basi gli USA.

Ma siccome la politica è di per sé l'arte del compromesso, allora ogni ostacolo che si sovrappone al raggiungimento di essi deve essere aggirato o cancellato e poco importa se questo sia o no moralmente giusto (ivi compresa la corruzione dei deputati dell'opposizione e le false dichiarazioni di fronte a un riottoso Congresso). Una lezione di real politik? Può darsi, ma ciò che ne viene fuori è il ritratto di un uomo che conosceva così bene l'animo umano da potersi permettere di far questo, in nome di un ideale destinato a cambiare il corso della Storia, rendendola – essa sì! - più giusta. Spielberg racconta tutto questo smontando gli stucchevoli clichés a cui i biopic contemporanei ci hanno abituato e trasformando la materia drammatica in una continua ed estenuante contrapposizione tra personaggi, ideali, caratteri, opportunismi.

Il regista americano quasi non filma la guerra (lui, che in questo è un maestro) per concentrarsi sui dettagli di una vita intima passata a essere molte cose (presidente, padre, marito, capofazione, infine simbolo vivente di una nazione rinnovata), ognuna spesso in dissidio con l'altra. In una nazione che oggi ha ritrovato in Obama un nuovo possibile Lincoln – almeno sul piano simbolico – l'importanza di questo film è amplissima e dimostra quanto grande sia ancora la capacità del cinema americano di plasmare l'identità della nazione dal passato al presente, dando corpo a immagini fantasmatiche, offrendo stile e narrazione alle emozioni, incarnando in un linguaggio simbolico i discorsi sociali e arginando ogni forma di estremismo idelogico.

(modifica il 28 gennaio 2013)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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3
CA ,CA ,,CA
28.01|10:49

CAPOLAVORO,,,,entrera' nella mia cineteca ,,ben vasta ben selezionata ben vissuta

buon lavoro ma non certo un capolavoro
28.01|10:49

Secondo me, signor Luceri, ha sprecato troppo presto il termine "capolavoro". Lincoln è un buon film ma certamente ben lontano dai migliori film di Spielberg. Ho apprezzato molto il protagonista, sia nella recitazione che nel doppiaggio rivoluzionario di Favino. Ci sono molti aspetti validi in questo film. Ma l'ambientazione, troppo fissa su pochi ambienti, risulta asfissiante. Incredibilmente pessima la colonna sonora di John Williams, che pensa di scimmiottare Copland per essere davvero americano. Un autogol clamoroso il discorso retorico alla fine. Consiglio di vederlo, ma non di chiamarlo capolavoro perché i capolavori sono altri.

Intervallo, please. Non siamo fenomeni.
28.01|10:49

Ho già postato sul Corriere (Mereghetti) le mie impressioni su questo flim appositamente (anche se magnificamente)'costruito' per l'Oscar -del resto deve vendere come ogni altro prodotto e qui se non ci riesce i produttori sbancano. Farà il botto al botteghino? Non so. E'un film non per giovani, i quali non sanno nemmeno lontanamente chi sia stato e cosa abbia fatto per l'umanità il 16° presidente degli Stati Uniti. Certi strati dei nostri connazionali lo vedrebbero poi come fumo negli occhi, razzisti come sono,forse più di quei democratici di allora che erano già il massimo. Al Portico venerdì alle 16 ci saranno state 60/70 persone : mai viste così tante in anni a uno spettacolo del pomeriggio. Tutti anziani però -E 4.50 quelli oltre i 65 anni, 5.50 gli altri-sarà anche per questo? Due ore e un quarto di spettacolo tirato (la fotografia però non mi è piaciuta:in 4 anni di narrazione mai un cielo col sole..., possibile?).....ma senza intervallo, cosicché dopo un' ora la toilette è stata presa d'assalto. I distributori si lamentano che nessuno va più al cinema, ma se poi ci obbligano a ...forzare la natura... Passate parola, basterebbero dieci minuti di 'Intermission' per goderselo di più non essendo così costretti a perderne una parte per impellenze ineludibili. Abbiano pietà, visto che siamo rimasti solo noi pensionati a foraggiarli, ormai.

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