il film della settimana
Qualcuno da amare
Se non vi piacciono i film lenti e riflessivi, lasciate perdere, se invece avete voglia di fare un'originale esperienza visiva allora vale la pena di gustarsi quest'ultimo film di Abbas Kiarostami
Regia: Abbas Kiarostami; Interpreti: Rin Takanashi, Tadashi Okuno, Ryo Kase; Sceneggiatura: Abbas Kiarostami; Fotografia: Katsumi Yanagijima; Montaggio: Bahman Kiarostami; Scenografia: Toshihiro Isomi; Costumi: Masae Miyamoto; Produzione: Eurospace, K2; Distribuzione: Lucky Red. Francia/Iran/Giappone, 2012, 109'.
In Toscana è in queste sale: Firenze: Colonna; Siena: Metropolitan.
Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: con «Qualcuno da amare» siamo nell'ambito del cinema d'autore tout court, per cui vale sempre la regola «prendere o lasciare». Se non vi piacciono i film lenti e riflessivi, lasciate perdere, se invece avete voglia di fare un'originale esperienza visiva allora vale la pena di gustarsi quest'ultimo film di Abbas Kiarostami, venerato (dai cinéphiles, s'intende) maestro del cinema iraniano dalla dimensione internazionale, qui alle prese con il suo primo film d'ambientazione giapponese.
Presentato in concorso al Festival di Cannes del 2012, «Qualcuno da amare» racconta la storia di Akiko, una giovane studentessa che si prostituisce con uomini facoltosi per pagarsi gli studi; un giorno incontra un professore universitario sessantenne, che prende a cuore la sua situazione e comincia a prendersi cura di lei. Tutta sospesa in una Tokyo misteriosa e sognante (l'atmosfera è molto simile a quella di certi romanzi di Murakami Haruki, come «Norvegian Wood»), la vicenda di questi due personaggi - anzi tre, visto che c'è anche un giovane focoso che ama Akiko e vuole sposarla - si sviluppa sulla sottile linea emozionale dei desideri e degli affetti inappagati. Certo siamo lontani dai capolavori di Kiarostami (come «Close-Up» o «Il sapore della ciliegia»), ma lo stile che ha fatto di questo regista uno dei maestri del cinema contemporaneo c'è tutto.
Dal progressivo disfacimento della coerenza narrativa in favore di un racconto poco lineare e sfuggente (la giornata in auto, la notte d'amore, i due monologhi “esterni” della nonna della ragazza e della vicina del professore) alla lentezza – a tratti esasperante – che cancella il tempo del film in favore di un tempo della percezione, una poetica dello sguardo che fa muovere la macchina da presa in luoghi spesso privi di una vera e propria caratterizzazione drammatica. Il tocco è quello di un regista capace di evocare il tutto – soprattutto il mondo interiore – con pochissime, ma profonde pennellate, senza mai abbandonare una sorta di grazie divertita che toglie al film ogni patina di presunzione autoriale e lavora molto sulla sostanza visiva della memoria, anche di natura cinematografica, visto che «Qualcuno da amare» è anche un bell'omaggio a un grande maestro giapponese come Ozu.
26 aprile 2013 (modifica il 29 aprile 2013)© RIPRODUZIONE RISERVATA