il film della settimana
La vita di Adele
Il capolavoro di Abdellatif Kechiche racconta la storia di due ragazze che soffrono e si amano alla follia
Regia: Abdellatif Kechiche; Interpreti: Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Salim Kechiouche; Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalya Lacroix; Fotografia: Sofian El Fani; Montaggio: Albertine Lastera; Costumi: Paloma Garcia Mertens; Produzione: Wild Bunch, Quat'sous Films; Distribuzione: Lucky Red. Francia, 2013, 179'.
In Toscana è in queste sale:Firenze: Fiorella, Flora, Principe; Campi Bisenzio: Uci; Pisa: Nuovo; Prato: Eden, Omnia Center; Scandicci: Cabiria; Sesto Fiorentino: Grotta; Siena: Nuovo Pendola.
È veramente un capolavoro «La vita di Adele», il nuovo film di Abdellatif Kechiche (Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes), per il semplice motivo che rappresenta uno di quei rarissimi momenti in cui il cinema supera la vita. La vicenda è quella di una jeune fille en fleur, l'Adele del titolo, che sperimenta l'apertura totale al mondo attraverso la forza dirompente del corpo e del desiderio, in particolare dopo aver condiviso con Emma, giovane pittrice dai capelli blu, un amore totalizzante. Ed è in questo racconto di formazione, in questa educazione sentimentale, che il regista francese è capace di condensare la storia universale della scoperta di se stessi e del proprio posto nel mondo.
Perché le due ragazze soffrono, si interrogano, si amano alla follia, si concedendo l'un l'altra con bruciante passione, sperimentano il dolore dell'abbandono e la sofferenza del vuoto, senza mai apparire, nemmeno per un istante, personaggi di finzione, ma figure palpabilissime, così vere e autentiche da poter uscire fuori dallo schermo. Chi conosce il cinema di Kechiche sa quanto il regista francese abbia lavorato negli anni – con alti e bassi - su quello che è stato spesso definito come uno sfiancante e crudo realismo, ma questa volta il livello del suo discorso poetico e stilistico è giunto a una maturazione tale da essere altissimo.
In «La vita di Adele» (tratto da un graphic novel non certo memorabile, «Le bleu est une couleur chaude» di Julie Maroh) la cinepresa del regista entra in contatto diretto con gli sguardi, i corpi, la pelle, la viscerale presenza fisica di due attrici (l'esordiente Adèle Exarchopoulos e l'esperta Léa Seydoux) capaci di una prova straordinaria, riuscendo a trasformare ogni singolo movimento, dettaglio, particolare, anche il più inanimato, in singoli frammenti di un poema visivo che dalla realtà è capace di prendere tutto solo per restituirlo, in forma sublime, come pura materia cinematografica. E' proprio questa grazia dirompente e incontrollata che prende lo spettatore allo stomaco e gli fa vivere tre ore di tormenti, passioni, dubbi e slanci, come se fosse lì, in mezzo all'acerba confusione sentimentale ed erotica di queste due ragazze. È per questo che il film finisce anche troppo presto, negandoci la dolcezza di un naufragare oltre. Resta così un film da vedere e rivedere. E poi da rivedere ancora. Con l'illusione che possa durare una vita intera.