il film della settimana

Salvo

È una pellicola che ci porta finalmente fuori dalla retorica del «film di mafia»

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il film della settimana

Salvo

È una pellicola che ci porta finalmente fuori dalla retorica del «film di mafia»

Regia: Fabio Grassadonia, Antonio Piazza; Interpreti: Saleh Bakri, Sara Serraiocco, Luigi Lo Cascio; Sceneggiatura: Fabio Grassadonia, Antonio Piazza; Fotografia: Daniele Ciprì; Scenografia: Marco Dentici; Produzione: Cristaldi Pictures, Acaba Produzioni, Cié Films, Arté; Distribuzione: Good Films. Italia/Francia, 2013, 104'.

In Toscana è in queste sale: Firenze: Flora; Pisa: Lanteri; Pistoia: Roma.

All'ultimo Festival di Cannes in pochi, all'inizio, avrebbero scommesso su «Salvo», opera prima di due registi siciliani (Fabio Grassadonia e Antonio Piazza) che alla fine è riuscita a vincere la Semaine de la Critique. Ma il bello dei festival – e del cinema – sta anche nel piacere della scoperta, nei riconoscimenti inaspettati, nelle scommesse che hanno il gusto della sfida più rischiosa. Eccoci dunque a scrivere di un film bello e importante, che purtroppo è stato «condannato» dalla distribuzione nostrana a uscire in poche copie (in Toscana solo tre) e per di più a fine giugno, a stagione praticamente conclusa.

Nonostante questo, abbiamo fiducia nel fatto che il pubblico si affezionerà a questo piccolo grande film e alla storia di Salvo, killer di mafia che uccide il fratello di Rita davanti a lei; la ragazza è cieca dalla nascita, ma il drammatico evento è causa di un miracolo: Salvo, disturbato dagli occhi di Rita che lo fissano senza vederlo, li chiude con le mani coperte di sangue e quando lei li riapre vede per la prima volta. Da quel momento i due vivranno isolati in un magazzino abbandonato, ma la nuova situazione li renderà consapevoli del bisogno di una vita diversa e libera per entrambi. «Salvo» è un film che ci porta finalmente fuori dalla retorica del «film di mafia», genere che ha avuto la sua fortuna sia da noi che in America, ma che da troppi anni era finito su un binario morto.

È proprio nell'annullamento degli stereotipi, del già visto e del moralmente giusto che il film mostra il suo lato migliore, forse la sua stessa ragion d'essere: dialoghi ridotti al minimo, messinscena tutta concentrata sulla forza espressiva e figurativa degli ambienti, dei rumori (straordinario il lavoro sul sonoro), della fisicità dei corpi e dell'intensità degli sguardi. Ma il film è anche un bell'esempio di come questa messa in crisi dei meccanismi di genere passi anche attraverso precise scelte linguistiche (l'uso della semi-soggettiva e del piano-sequenze, le ellissi, certe volute incongruenze del montaggio) che danno forza all'originale commistione tra realtà e magia su cui il film si basa. «Salvo» mette inoltre insieme diverse suggestioni, con una Palermo straniante e degradata, ma assolutamente «mitica», con un tono che trascolora spesso nel melodramma intimista (molte sono le similitudini con un altro ottimo film italiano uscito quest'anno, «L'intervallo» di Di Costanzo). Troppa carne al fuoco? Può darsi, ma i due registi sanno controllarsi a dovere. E anche questo fa il bello del film.

Marco Luceri
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