il film della settimana
Gravity
La missione di routine nello spazio si trasforma ben presto in un'odissea: i due protagonisti ce la faranno?
Regia: Alfonso Cuaròn; Interpreti: George Clooney, Sandra Bullock; Sceneggiatura: Alfonso Cuaròn, Jonàs Cuaròn; Fotografia: Emmanuel Lubezki; Musiche: Steven Lubezki; Montaggio: Alfonso Cuaròn, Mark Sanger; Scenografia: Andy Nicholson; Costumi: Jany Temime; Produzione: Esperanto Filmoj; Distribuzione: Warner Bros. USA, 2013, 92'.
In Toscana è in queste sale: Firenze: Adriano, Fulgor, Portico, The Space, Uci; Campi Bisenzio: Uci; Empoli: Excelsior; Livorno: The Space; Massa: Splendor; Montecatini: Excelsior; Montevarchi: Cine8; Pisa: Nuovo; Pistoia: Lux; Poggibonsi: Italia; Pontedera: Cineplex; Prato: Eden, Omnia Center; Santa Croce sull'Arno: Lami; Sesto Fiorentino: Grotta; Siena: Metropolitan; Viareggio: Eden.
È un film sulla «rinascita» intesa come unica via per giungere alla salvezza il nuovo film di Alfonso Cuaròn che ha aperto l'ultima Mostra di Venezia. Il plot non potrebbe essere dei più classici: la dottoressa Ryan Stone (una spigolosa Sandra Bullock) affronta il suo primo viaggio spaziale a bordo di uno Shuttle pilotato da Matt Kovalsky (George Clooney) che, al contrario, di esperienza di volo ne ha maturata fin troppa ed è al suo ultimo viaggio prima di ritirarsi. La missione di routine si trasforma ben presto in un'odissea: i due protagonisti, infatti, dopo essersi trovati in mezzo a una tempesta di polveri meteoritiche, si ritrovano a fluttuare nello spazio, isolati dalla Terra e con scarse possibilità di salvarsi.
Ce la faranno i nostri beniamini? Il lungo viaggio dell'eroe comporta come da copione una serie di peripezie sempre più difficili da affrontare, fino al catartico scioglimento finale e infatti tutta la seconda parte del film risponde alla perfezione a questa progressiva normalizzazione hollywoodiana. Ma non facciamoci trarre in inganno, però, perché il film il meglio di sé lo dà proprio nella prima parte, quando Cuaròn ammanta in una serie di splendidi e lunghissimi piani-sequenza l'assenza di gravità, facendo fluttuare la macchina da presa intorno ai corpi futuribili dei due divi (gli unici esseri umani del film) e rendendo così plastico il «vuoto» che c'è non solo intorno a essi, ma anche dentro. Il regista messicano si serve di una sceneggiatura che pian piano scopre il passato personale dei due, contrapponendo il particolare (umano) all'universale (celeste): sarà proprio grazie alla capacità – da parte dei due, ma soprattutto di Ryan – di riempire questo vuoto che l'odissea nello spazio avrà la sua ragione per essere compiuta, e la salvezza raggiunta, mentre la Terra, luminosa e silente come un orizzonte misterioso e irragiungibile, si staglia sulla vita, come ad abbracciarla, pronta per un nuovo inizio.