Milano, 21 febbraio 2014 - 17:30

Dodici anni schiavo

Nel film di McQueen ritroviamo il tentativo di raccontare una grande storia epica e commovente, classicissima dunque, attraverso un esibito sguardo d'autore

di Marco Luceri

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Il nuovo film del regista-artista Steve McQueen – tra i titoli più attesi dell'anno, candidato a ben 9 Premi Oscar – è a suo modo un'opera interessante perché permette di capire come (ancora) oggi la forza del cinema hollywoodiano stia nella capacità di lusingare un autore e di renderlo, in fin dei conti, parte integrante di un sistema produttivo-mediatico che gioca su più livelli. Che senso avrebbe, altrimenti, un'operazione come quella di «12 anni schiavo», a poca distanza da due altri film “capitali” che hanno affrontato nell'ultimo anno il tema – evergreen sotto la cappa della cultura made in USA ai tempi di Obama – della schiavitù, ovvero «Lincoln» e «Django Unchained»?

Se nel film di Spielberg è la vischiosità della politica ad emergere, come nel film di Tarantino è la necessità del cinema di (ri)darsi un nuovo orizzonte mitopoietico, nel film di McQueen ritroviamo il tentativo di raccontare una grande storia epica e commovente, classicissima dunque, attraverso un esibito sguardo d'autore. Ne vien fuori un film (fin troppo) “equilibrato”, nel senso che è capace di tenere insieme alla perfezione queste due componenti: il viatico migliore, insomma, per aggiudicarsi l'Oscar. La storia, che parte nel 1841, è quella (vera) di Solomon Northrup, un uomo di colore nato libero che viene rapito e portato in una piantagione di cotone in Louisiana, dove è obbligato a lavorare in schiavitù per dodici anni sperimentando sulla propria pelle la feroce crudeltà del perfido proprietario terriero Edwin Epps, senza tuttavia mai perdere la propria dignità. McQueen si serve di questa storia di immenso eroismo per cercare di risalire all'essenza stessa del concetto di schiavitù (come negazione massima della dignità umana) attraverso il potere delle immagini. Sono molte le inquadrature del film in cui la violenza viene mostrata ricorrendo a un realismo esasperato, mentre il racconto si interrompe, per poi riprendere (attraverso puntuali ellissi temporali) non prima però che il regista ci abbia fatto vedere la fisicità dell'orrore in tutta la sua potenza illustrativa (qui ritorna il suo sguardo di videoartista). McQueen dunque non si sposta granché dal suo stile (che a questo punto si può considerare maturo già in «Hunger» e «Shame»), ma questa volta è la confezione ad essere cambiata. Probabilmente gli porterà fortuna durante la notte degli Oscar.

Regia: Steve McQueen; Interpreti: Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Lupita Nyong'o, Benedict Cumberbatch, Brad Pitt; Sceneggiatura: John Ridley; Fotografia: Sean Bobbit; Musiche: Hans Zimmer; Montaggio: Joe Walker; Scenografia: Adam Stockausen; Costumi: Patricia Norris; Produzione: Fandango, RaiCinema; Distribuzione: 01. USA, 2013, 133'.

In Toscana è in queste sale: Firenze: Fiorella, Flora, Fulgor, Portico, The Space, Uci; Campi Bisenzio: Uci; Livorno: Gran Guardia, The Space; Massa: Splendor; Montecatini: Excelsior; Montevarchi: Cine8; Pisa: Odeon; Pistoia: Roma; Poggibonsi: Garibaldi; Pontedera: Cineplex; Prato: Omnia Center, Terminale; Santa Croce sull'Arno: Lami; Scandicci: Cabiria; Sesto Fiorentino: Grotta; Viareggio: Goldoni.

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