CINEMA
L’ultimo Monni, col santo d’argento
Il film inedito dell’attore: tre monache, un’abbazia da slavare e un battibecco in stile Peppone e don Camillo
FIRENZE - Brontola, smadonna, contratta, cede. In una finale caricatura di se stesso. È Carlo Monni, come non lo avete mai visto, perché quella di stasera alle 21,30 alle Murate sarà la proiezione di un inedito film di Vanna Paoli, dove l’irriverente ed elitario toscano gioca l’ultima volta col suo personaggio controcorrente e signore. Il film, Non ci credo è il titolo, ha una storia di produzione che è già un’avventura Ma andiamo agli ingredienti della sceneggiatura. A metà degli anni ‘60, un’abbazia toscana di pregevolissimo rilievo architettonico e storico rischia di chiudere. Al suo interno abitano le ultime tre monachelle (nel film sono Gianna Sanmarco, Adelaide Foti, Ilaria Coppini) disposte a tutto pur di non lasciare la posizione. Hanno un piano: commissionare una statua d’argento di San Biagio (loro protettore) organizzare una processione, dunque lanciare una raccolta di fondi per salvare l’abbazia. L’esito lo lasciamo in un’aurea di mistero. Basti sapere che alla fine degli 80 minuti di film si potrà pensare che « i miracoli esistono».
Cosa c’entra Monni con tutto ciò? Semplice lui è un vecchio comunista, ex contadino diventato operaio in forze in un fabbrica d’argento. È a lui che le tre suorine chiedono aiuto per fare il San Biagio d’argento. Nulla da fare, da vecchio miscredente, Monni di mettere le mani alle forme di un santo non vuole saperne. Alla fine si troverà il compromesso, perché se il volto e la figura di Biagio verranno fuori dal lavoro di un collega del Monni, il vecchio mangiapreti parteciperà alla lavorazione della statua per realizzare la testa di un maiale che l’iconografia vuole ai piedi di Biagio.
«Il pretesto per la costruzione del film — ci spiega anna Paoli, regista toscana di stanza a Chicago che ha al suo attivo tra gli altri lavori, la sceneggiatura, con Giuseppe Tornatore di Nuovo cinema Paradiso, un film dal titolo Detective per caso, tratto da un libro di Cristina Acidini in cui si narra del ritrovamento di Botticelli e la Casa Rosa, sul crollo del comunismo, passato a Venezia — fu un incontro con Gianfranco Pampaloni anni fa. L’argentiere fiorentino voleva festeggiare il centenario della fabbrica con un film. E mi incaricò di realizzarlo. E mi ricordai dell’antica e bellissima abbazia del Buon Sollazzo di Borgo San Lorenzo». Un luogo bellissimo assurto agli onori delle cronaca perché disabitata anche se la si voleva trasformare in residence. Tra fiction e realtà è venuta fuori questa commedia toscana (lo era la troupe, gli attori, oltre a Monni anche il mago Baku e Bustric, solo i macchinisti e le attrezzature venivano da Roma). Irriverente, divertente. Ambientata nel ‘63 e per la gran parte in bianco e nero. Perché per completarla servono 15 mila euro, per il bilanciamento del suono e la messa a punto dell’equilibrio tra colore e bianco e nero. Pampaloni lo sa.
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