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la storia

L'orto fiorentino in mezzo alla Savana

Da 3 anni Gabriele Maneo, agronomo, vive tra Firenze e Itigi, un villaggio della Tanzania. E ha messo su una fattoria

Quando è arrivato in quell'angolo di mondo in mezzo alla savana, la terra era arida e incolta, le mucche facevano appena 3 litri di latte al giorno e l'agrumeto era un insieme di piante malaticce. Ora vengono raccolte verdure e ortaggi, la produzione della stalla è raddoppiata, sugli alberi crescono gli agrumi che i bambini del villaggio mangiano e quell'angolo di mondo in mezzo alla savana è diventato un po' casa sua. Da 3 anni Gabriele Maneo, agronomo, vive tra Firenze e Itigi, un villaggio della Tanzania. Qui, grazie alla cooperativa agricola di Legnaia, la onlus Pangea di Scandicci e la Facoltà di Agraria di Firenze, è nato un orto “fiorentino” che contribuisce al sostentamento dell’ospedale San Gaspare, unico presidio medico della zona e del Villaggio della Speranza di Dodoma, dove sono ospitati bambini orfani malati di Aids.

Gabriele segue la produzione agricola, curando le coltivazioni e insegnando ai contadini locali tecniche e accorgimenti. Ventisei anni, fiorentino di S. Bartolo a Cintoia, Gabriele ha messo le mani nella terra fin da piccolo, seguendo nei campi i nonni agricoltori; all'università si è iscritto ad Agraria, specializzandosi in Scienze per la sicurezza alimentare e ambientale nei Tropici. E' bastato un soggiorno in Tanzania, per la tesi, per innamorarsi del posto ed essere contagiato dal “mal d'Africa”, così quando, appena laureato, gli hanno proposto di seguire l'orto a Itigi, è partito subito per quella che “poi si è rivelata un'avventura”. L'orto nasce nella savana, in un'area con poche piogge, dove esistono pozzi artesiani ma l'acqua è salata, e quindi resistono solo verdure che sopportano un'alta concentrazione salina. «Ma il lavoro più difficile è stato conquistare la fiducia delle persone - racconta Gabriele - All'inizio mi vedevano un po' come il bianco che arriva e vuole fare il suo orticello spiegando come si fa. Mi lasciavano fare, ma senza seguirmi. Ho cercato di apportare piccole modifiche senza stravolgere le tradizioni e il loro modo di coltivare, e pian piano, visti i risultati, hanno cominciato a fidarsi, a chiedermi consigli, a proporre idee».

Gabriele Maneo
Gabriele Maneo
La terra ha iniziato a dare cavoli, pomodori, lattuga, patate, melanzane, carote, okra, e ora i contadini del villaggio mandano avanti l'orto anche da soli. Con successo, tanto che presto sarà raddoppiato, a 1 ettaro. Ma le verdure cresciute nel deserto non sono l'unica soddisfazione per il team fiorentino che segue il Progetto Tanzania: le 12 mucche della stalla dopo un cambio di alimentazione hanno incrementato la produzione di latte da 3 a 7 litri giornalieri (la media nel Paese è 10 litri, contro i 30 della Toscana). Poi c'è la cantina sociale di Miyuji. «Con l'aumento del turismo sempre più stranieri chiedono il vino, oltre la birra» spiega Simone Tofani, responsabile tecnico della Legnaia. «Lì la vite, se ben coltivata, produce 2 raccolti l'anno e la vendita del vino potrebbe essere una buona fonte di entrate per la missione». Quest'anno oltre all’insegnamento di nuove tecniche agricole e zootecniche verranno date anche lezioni di cucina ai cuochi che lavorano al Conference Center di Dodoma, albergo-ristorante nato per sostenere le missioni. A insegnare sarà lo chef Daniele Bocciolini, capo cuoco del bar della Legnaia, che pochi giorni fa è partito per la Tanzania, insieme a Gabriele e due tirocinanti della facoltà di Agraria. Il progetto sta dando i suoi frutti ma «c'è ancora tanto da fare» spiega Gabriele. «Sento di fare qualcosa di utile e che ha un senso. Tutto è una sfida, anche solo arrivarci, dopo un viaggio in autobus tra le capre. Ma lì la vita sembra, non so, più vera».

Ivana Zuliani
25 ottobre 2011(ultima modifica: 02 novembre 2011)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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