in formazione
Università in ritardo
con la sfida dei tempi
«Non si può negare che in Italia l’orientamento sia ancora piuttosto arretrato rispetto ad altri Paesi» dice Massimiliano Vaira, ricercatore dell'Università di Pavia
«Non si può negare che in Italia l’orientamento sia ancora piuttosto arretrato rispetto ad altri Paesi e mostri ancora una certa limitatezza tanto nella diffusione, quanto negli strumenti impiegati e negli obiettivi che si pone». Un giudizio netto, quello di Massimiliano Vaira, ricercatore dell’Università di Pavia, che nel 2007 ha pubblicato uno studio dove mette a confronto le politiche e le pratiche di orientamento universitario in sei paesi europei.
«La mia sensazione — spiega oggi il professore — è che da allora non si sia fatto granché, non tanto per cattiva volontà degli atenei e delle loro articolazioni, quanto perché alle prese con problemi più urgenti: ci sono state le riforme Moratti e Gelmini, e gli atenei hanno dovuto rimodulare la propria offerta». Lo studio di Vaira aveva messo in luce come le università italiane fossero prevalentemente attive nel campo del marketing promozionale, «una strategia piuttosto limitata — si legge — e soprattutto che non produce risultati efficaci in fatto di scelte e risultati di studio».
Meglio quindi mettere in cantiere indagini su motivazioni e aspirazioni degli studenti, e sulle cause di abbandono del percorso di studi; costituire network cooperativi fra università e scuole secondarie; introdurre più occasioni di orientamento nella scuola secondaria; sviluppare strutture di guidance e counselling come nei paesi anglosassoni. Il ritardo italiano, per Vaira, dipende da riforme arrivate tardi, e che comunque non offrivano direttive stringenti sulle attività di orientamento. «Molte cose — spiega — dipendono dai singoli atenei, o anche dai singoli corsi di laurea: alcuni possono fare delle cose avanzatissime, altri non fanno nulla di nulla». Un orientamento più efficace, concludeva lo studio, consentirebbe di combattere i fenomeni di abbandono «senza dover istituire strutture e procedure irrigidenti e macchinose quali la canalizzazione e le prove di accesso». In attesa che Roma prenda nota, tutto rimane affidato alla buona volontà dei singoli.
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