Milano, 24 agosto 2014 - 10:28

«Io, botanico tra trafficanti e giaguari
In cerca di piante nuove»

Riccardo Baldini, anni di ricerche dal deserto all’Amazzonia

di Gaetano Cervone

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La cercavano da quarant’anni. In molti avevano anche smesso di sperare che la natura ne avesse difesa qualcuna. Invece il 13 gennaio del 2013 il mondo della botanica mondiale ha ricevuto l’attesa notizia da uno dei più remoti posti della foresta tropicale del Panama: «L’abbiamo trovata». È stato Riccardo Maria Baldini, direttore del Centro Studi Erbario Tropicale dell’Università di Firenze (Dipartimento di Biologia), ad annunciare la scoperta della Cryptochloa soderstromii, un’esemplare di bambù panamense che da quasi mezzo secolo aveva fatto perdere le tracce.

LA PIANTA LEGGENDARIA - I libri raccontavano della sua esistenza. I ricercatori, però, era da decenni che non ne vedevano un esemplare. Ora è conservata in via La Pira nelle stanze del più grosso erbario tropicale d’Italia, quello con una delle più numerose raccolte (220 mila esemplari di piante essiccate) d’Europa: l’Erbario Tropicale dell’Ateneo fiorentino, che a ottobre compirà 100 anni, con tanto di celebrazioni (grazie anche al finanziamento dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze) e una giornata studio con i più importanti botanici europei. Missione compiuta, dunque. Perché è proprio di questo che si parla, di vere e proprie spedizioni nei posti più pericolosi del mondo, come alcune regioni della Colombia, di Panama, del Venezuela e del Perù, oppure del Brasile nel cuore della foresta Amazzonica, per non parlare poi dei Paesi africani dove può capitare di ritrovarsi nel deserto senza acqua. Al professore Baldini è capitato anche questo: «Nel 1999 nello Yemen, ero con l’allora Curatore del Centro, Marcello Tardelli, e la guida sbagliò qualcosa, perché la sorgente d’acqua prevista non c’era — ricorda il docente — Siamo stati per due giorni in area semi-desertica senza acqua, è stata forse una delle spedizioni dove ho rischiato di più».

FORESTA DI PANAMA - E non è che si siano state semplici passeggiate le spedizioni nella foresta del Panama («dopo una tempesta tropicale siamo stati costretti a passare parte della notte circondati da giaguari e serpenti»), nell’isola di Socotra («non c’era l’acqua minerale, prendevamo l’acqua della sorgente, la filtravamo e ci aggiungevamo del cloro»), oppure quelle a confine con la Colombia, a tu per tu con trafficanti di droga: «Oltre alla passione ci vuole anche un po’ di incoscienza — ammette Baldini — Ma noi siamo così, botanici da campo e siamo destinati a sporcarci». Sono infatti chiamati «botanici polverosi», e Baldini è un vero e proprio «Indiana Jones delle piante». Il punto, però, è che può essere difficile spiegare a trafficanti colombiani che si può rischiare la vita nelle foreste incontaminate per il solo scopo di trovare delle piante. Invece è proprio così. È sempre stato così e la Scuola Fiorentina di Botanica può vantare una lunga tradizione di esploratori e la più grossa collezione di piante tropicali d’Europa: «Non non siamo un erbario generalista con milioni di esemplari, qui conserviamo solo quelli dei paesi tropicali».

ARCHIVI - Sono oltre 220 mila gli esemplari essiccati e catalogati negli archivi di via La Pira: la maggioranza proviene dai Paesi dell’Africa orientale come Etiopia, Eritrea, Somalia, proprio perché quando il Centro fu trasferito — nel 1914 — da Roma a Firenze, prese il nome di Regio Erbario coloniale in Firenze. Nelle intenzioni originarie del fondatore Romualdo Pirotta doveva essere un’Istituzione per la conservazione e allo studio delle collezioni botaniche provenienti dalle colonie italiane. E così nei decenni successivi anche senza più le colonie e con una denominazione diversa (nel 1969 divenne Erbario tropicale di Firenze), è stata mantenuta la tradizione. E gli archivi si sono arricchiti sempre di più di nuove piante provenienti anche dal Kenya, dalla Tanzania, dall’Uganda, dall’Oman, dallo Yemen, dall’America latina. Con l’Università di Panama, l’Ateneo lo scorso marzo ha messo nero su bianco un accordo di collaborazione e Baldini ha già tenuto diversi corsi tra cui uno di nomenclatura botanica agli studenti panamensi: «In cambio mi forniscono la jeep e la benzina per le spedizioni, oltre che alle guide indios per le escursioni» spiega il docente. È stata proprio una delle ultime spedizioni ad Aligandi, risalendo il fiume fino alla cascata di Margandi — scortato dagli indios con il loro tradizionale machete e tanto di schioppo sulle spalle per difendersi dai giaguari — che ha consentito di individuare dopo quarant’anni la Cryptochloa soderstromii: «Sia chiaro che in presenza di pochi esemplari e la pianta madre la lasciamo lì, e ci limitiamo prenderne una porzione o a fotografarla — sottolinea il docente — Siamo ricercatori, non cacciatori».

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