Regia: Steve McQueen; Interpreti: Michael Fassbender, Liam Cunningham, Lalor Roddy; Sceneggiatura: Steve McQueen, Enda Walsh; Fotografia: Sean Bobbitt; Musiche: David Holmes, Leo Abrahams; Montaggio: Joe Walker; Scenografia: Tom McCullagh; Costumi: Anushia Nieradzik; Produzione: Blast! Films, Channel Four Films, Film4; Distribuzione: Bim. Gran Bretagna, 2008, 96'.
In Toscana è in queste sale: Firenze: Flora, Odeon; Arezzo: Eden; Livorno: Quattro Mori; Pisa: Odeon.
Se vi è piaciuto il pallido «Shame», il secondo film realizzato dalla coppia Steve McQueen & Michael Fassbender, uscito qualche mese fa, correte a vedere «Hunger», perché la loro “opera prima” è invece una pellicola di tutt'altro valore: forte, diretta, violenta, fisica, con uno straordinario uso del corpo, che diventa strumento di rivincita politica. Nonostante l'imperdonabile ritardo, ben venga che un distributore sempre molto attento (Bim) abbia deciso di ovviare a una penosa mancanza del nostro sempre più provinciale mercato cinematografico nazionale. Il film è infatti di qualche anno fa (del 2008, per la precisione) e nonostante già allora avesse vinto molti premi (tra cui la Camera d'Or al Festival di Cannes) in Italia non era ancora arrivato (salvo una proiezione nel 2009 alle Giornate del Cinema Europeo di Firenze, festival di cui rimpiangiamo sempre di più l'assenza). Comunque, meglio tardi che mai. Potenza di «Shame» e della nuova icona Fassbender. «Hunger», si diceva. Un film che recupera una delle pagine più controverse della storia irlandese, risalente all'inizio degli anni Ottanta, periodo in cui il paese era sconvolto da una guerra intestina che ne avrebbe cambiato per sempre la storia.
Nel braccio H della prigione di Long Kesh, tristemente conosciuta come Maze (“il labirinto”), dove vengono imprigionati gli attivisti dell'IRA che protestano per il mancato riconoscimento da parte del governo inglese dello status di prigionieri politici, ha luogo la “Blanket and No-Wash Protest”: i detenuti prima si spogliano completamente, rivestendosi solo di una semplice coperta, poi si rifiutano di pulire le latrine e infine ricoprono le celle con i loro stessi escrementi. A guidare la protesta, che le autorità carcerarie cercano di stroncare in un escalation di inaudita violenza, c'è un uomo, Bobby Sands, che capisce prima di tutti come il compimento della battaglia politica debba passare attraverso un'idea rivoluzionaria del corpo. E' proprio attraverso lo strumento principale che ogni attore ha a disposizione per dare vita al suo personaggio che Fassbender trasforma la fisicità di Bobby (sempre più sporco, magro e abbrutito) in un gigantesco campo di battaglia tra l'individuo e il potere, scontro che si riverbera nell'intera struttura del carcere, la cui triste realtà viene esaltata dalle alcune azzeccate scelte linguistiche di McQueen (come la profondità di campo, basti pensare alla lunga inquadratura fissa che fa vedere la pulizia del corridoio penitenziario o l'interminabile, tesissimo, piano-sequenza del dialogo tra Fassbender e Cunningham, mai così bravi). E' così che l'irriducibilità del singolo che lotta per un ideale arriva allo spettatore in tutta la sua carica più diretta e destabilizzante: non vorremmo più “vedere”, ma in «Hunger» la carica dell'utopia vince sul principio di realtà, i corpi (privi ormai di ogni carica sessuale) svuotano le parole e la coraggiosa riaffermazione della dignità umana passa attraverso una sua (apparente) perdita.
Marco Luceri